Quella che è stata la tara genetica della città, soprattutto negli anni dello sfascio, riemerge eccome in questi tempi incerti e incoerenti rispetto all’urgenza dello stacco soprattutto etico e morale con il passato. Ed è l’esclusione della città delle scelte, in nome del potere che riserva a pochi il diritto di decidere per tutti. Abbiamo visto che le nomine per le poltrone dorate della banca e della Fondazione, le decidevano cinque incompetenti che si spartivano le seggiole in nome delle esigenze interne delle correnti del Pd. E gli effetti peseranno per generazioni.
Due vicende degli ultimi giorni, seppur completamente diverse, fanno riecheggiare circostanze improntate all’egemonia di pochi che decidono da soli di come gestire il patrimonio dei cittadini: parlo dei Musei di Contrada e delle opere della Pinacoteca. E siamo dunque in presenza dei patrimoni più preziosi della città: quello degli affetti, dei sentimenti più intimi dei senesi, delle tradizioni tramandate per secoli, irripetibili e solo nostre; e quello della cultura, di cui la Pinacoteca rappresenta un nodo irrisolto vista la scarsa affluenza di visitatori e le luci fioche che caratterizzano le sale espositive. Bene, il soprintendente Mario Scalini ha operato una sorta di trasloco in uscita e in entrata di decine e decine di opere, decidendo di saggiare la possibilità espositiva della sede operativa della Soprintendenza. Se non fosse stato per una lettera di alcuni laureandi e laureati in Storia dell’Arte, tutto sarebbe avvenuto nel silenzio. E invece Scalini chiama «sciocchi» quei giovani, con un indisponente atteggiamento elitario che dimentica il fatto principale che soprattutto un funzionario dello Stato non dovrebbe mai dimenticare: quelle opere sono dei cittadini.
La cultura e l’arte della città sono prima di tutto dei senesi e invece Scalini ha deciso di informare la città solo il giorno dopo in cui il trasloco è stato messo in opera. Dice che il Comune sapeva del trasloco. Chi? Da quando? Visto che il sindaco ha commentato così: «Le recenti decisioni della Soprintendenza in merito ad eventuali trasferimenti di opere dalla Pinacoteca Nazionale di Siena sono state assunte al di fuori della discussione aperta nel tavolo di lavoro interistituzionale coordinato dal Comune di Siena». E allora chi ha informato il Soprintendente Scalini? Oppure smentisce il sindaco? Vicenda preoccupante, perché fa riemergere subito il difetto del progetto
di Siena capitale della cultura: la mancata condivisione dei cittadini.
Non si può maneggiare il bene più prezioso della città, appunto la cultura, escludendo la città. Non si può fare come facevano quelli che pochi anni fa hanno distrutto la città, ispirandosi alla frase cult del Marchese del Grillo: «Io so’ io e voi nun siete un c…». La città esclusa: si ha l’impressione che sia la situazione che caratterizza anche l’ingresso di Civita nelle organizzazioni delle visite ai Musei di Contrada. Aprire di più i Musei di Contrada e farlo in una logica collegata, come un’unica meravigliosa esperienza è scelta opportuna. Ma perché inserire un intermediario? Perché appaltare l’organizzazione ad un soggetto esterno? È come rinunciare ad un ruolo di protagonismo contradaiolo che quantomeno avrebbe dovuto essere maggiormente meditato. Cioè: siamo solo in grado di custodire il patrimonio museale delle Contrade, mentre per aprirlo alla fruizione c’è bisogno di intermediari del turismo culturale? Può darsi sia vero, triste ma vero. Però parliamone allargando più possibile il cerchio del confronto, nelle Contrade soprattutto, non riducendolo per decidere alla svelta come convenuto. E come arriveranno i turisti nei musei? A corsa perché hanno il torpedone che li riporta a Montecatini? Oppure ancora inebriati dalla mattinata passata nel Museo della Tortura? Saranno inconsapevoli avventori che urlano «pittoresco» come faceva la zittella inglese in una imitazione di Montesano di quarant’anni fa? Troppa fretta, in questa operazione, che ha anch’essa tratti elitari, di scarsa condivisione. La città esclusa, anche in questo caso.