Nel 2004 la Centrale del latte di Firenze, Pistoia e Livorno chiudeva il bilancio con 51mila euro di utile netto e 83,7 milioni di fatturato. Con i suoi 200 dipendenti, ritirava ogni anno più di 37 milioni di litri di latte raccolti in circa 140 stalle toscane ( la metà delle quali nell’area del Mugello). Nel 2002 si era appena messa alle spalle il fallimento di una gara di privatizzazione andata deserta per la mancata fidejussione da 5 milioni da parte di Parmalat e Cooperlat, le uniche due società che avevano presentato l’offerta. Presidente della Mukki nel 2002 era Franco Cervelin – oggi impegnato nella valorizzazione della filiera ovina dell’azienda Il Forteto – che ,scampata la privatizzazione scelse con decisione la strada degli investimenti su cui aveva sempre creduto. In soli 24 mesi costruì e inaugurò nella periferia nord del capoluogo toscano il nuovo stabilimento, costato 43 milioni di cui 30 reperiti attraverso finanziamenti bancari, 4,5 con prestiti obbligazionari e il resto attraverso l’auotofinanziamento e la vendita della vecchia sede fiorentina alla società ferroviaria Tav per la costruzione della linea Firenze Bologna.
Corsi e ricorsi storici A distanza di oltre dieci anni la privatizzazione della Mukki torna prepotentemente d’attualità. E non mancano le prese di posizione come quelle degli ultimi giorni con uno scambio di vedute piuttosto divergente tra l’assessore all’agricoltura della Regione Toscana Gianni Salvadori e il Consigliere regionale targato Pd ed ex presidente della Centrale del latte Paolo Bambagioni. Il primo, rispondendo all’appello del presidente dell’azienda Lorenzo Marchionni per un tavolo tra i soci pubblici per decidere il futuro della Centrale del Latte e appreso della volontà del Comune di Pistoia di cedere le sue quote (18%), ha aperto alla procedura considerato che anche la Regione, tramite FidiToscana, detiene il 23,892% delle quote. Il secondo ha bollato la posizione di Salvadori come «ipocrita» invocando il mantenimento del presidio.
Cervelin, lei già una volta ha salvato la Mukki dalla privatizzazione, oggi lo spettro della privatizzazione torna d’attualità. Solo uno dei temi della campagna elettorale o c’è dell’altro?
Già dieci anni fa, quando ero presidente, si parlava di privatizzazione. Allora mancò davvero poco. Il bando fu bloccato perché, in modo lungimirante, prevedemmo rigorosi criteri di serietà e selezione nella procedura. Parmalat e Cooperlat che avevano partecipato all’offerta non presentarono la fidejussione richiesta e la procedura fu immediatamente bloccata. Di lì a poco scoppiò il caso Parmalat. La mia linea di presidente non era sicuramente quella della privatizzazione selvaggia con l’obiettivo di fare cassa. Del resto non c’era l’urgenza di privatizzare perché l’azienda, dopo il blocco della procedura, decise in soli 24 mesi di realizzare il nuovo stabilimento, innalzare i livelli occupazionali e garantire un prezzo remunerativo ai conferitori.
Dieci anni fa, quando fu bloccata la privatizzazione nacque il nuovo stabilimento dando prospettiva all’azienda. Oggi quale potrebbe essere la prospettiva?
La Toscana è fidelizzata al brand Mukki. Rispetto ai tempi delle latterie e della centrale del latte il mondo è cambiato. E’ evidente che, come consumatore, ritengo sia fondamentale il mantenimento per la Toscana del presidio del territorio e dei livelli occupazionali della filiera. Poi bisogna vedere i numeri. Oggi bisogna competere e internazionalizzare.
Voi che scelta decideste di fare?
Noi decidemmo di crescere rafforzando la presenza in Toscana attraverso l’acquisto di Cremlat e un rapporto di lealtà con latte San Ginese e Latte Maremma ma non riuscimmo a riunire queste componenti essendo soggetti giuridici diversi. In più cercammo di mantenere il brand e un’attenzione al rapporto con il territorio senza infilarci nella grande distribuzione. Allora Mukki aveva dei valori che ha sempre difeso dimostrandosi poi una scelta vincente. Oggi invece lo scenario è diverso. Il momento è difficile e la crisi non aiuta.
E quindi gli enti locali cedono quote
Gli enti locali, ciclicamente in periodi di difficoltà, ritengono non più strategica la detenzione di quote societarie in aziende partecipate. Oggi, davanti ad uno stravolgimento dell’assetto politico ed economico-finanziario per gli enti diventa tutto più difficile.
La Mukki si è sempre caratterizzata come un marchio fortemente legato alla Toscana puntando sullo stretto rapporto con i conferitori. Questo potrebbe venire meno in caso di privatizzazione? I conferitori che ruolo possono giocare in questa partita?
La funzione data dall’azienda ai produttori a suo tempo era quella di uno stretto rapporto basato anche sul riconoscimento dei premi. Del resto la Mukki assolveva la sua funzione “sociale” andando a ritirare il latte in zone disagiate e questo aveva un costo ripagato dalla scelta della qualità e del biologico. La produzione nel tempo è potuta così migliorare e questo tipo di relazione è stata mantenuta. I conferitori hanno sempre avuto un ruolo centrale.
Cervelin, come andrà a finire questa volta?
Ritengo che l’interesse di tutti sia quello di mantenere un’azienda importante. Dieci anni fa realizzammo per primi il bilancio sociale dell’azienda. Oggi la Mukki rappresenta un’industria vera con valori di territorialità ed eticità che ritengo non debbano essere persi. Per questo, anche in caso di privatizzazione, auspico che questi principi e valori fondati su un’esperienza virtuosa fatta di dipendenti, enti pubblici e indotto non vengano dispersi. Chissà che oggi non siano maturi i tempi perché si possa pensare alle cooperative del territorio come alternativa alle multinazionali per continuare a garantire il legame con la Toscana.