Coraggio, domani sarà tutto finito. Ancora poche ore e Alessandro Profumo dichiarerà aperti i lavori dell’assemblea soci convocata con un ordine del giorno che da settimane fa discutere. L’abbattimento del limite del 4% per i soci privati del capitale della Società, in pratica il via libera all’ingresso di nuovi investitori che potranno entrare nel pacchetto azionario, partecipando all’aumento di capitale (probabilmente entro l’anno) senza il limite massimo imposto finora. Nonostante l’aria tesa, il risultato pare scontato, anche perché la Fondazione Mps ha  già detto che darà il proprio via libera. «Sarà un’assemblea vivace, spero non infuocata», ha detto l’ad Fabrizio Viola.

Sia come sia, domani sarà senz’altro una decisione “storica” per la banca più antica del mondo. Fino al 2011 ad avere la maggioranza assoluta del capitale era la Fondazione Mps, poi è finita per scendere all’attuale 33%, a causa di un indebitamento scellerato praticato per partecipare all’aumento di capitale di due anni fa. E se domani sarà ancora la Fondazione, per tramite del suo presidente, ad avere la maggioranza relativa in assemblea, dal prossimo anno non sarà più così. All’orizzonte, infatti, c’è un aumento di capitale da 1 miliardo di euro (e qualcuno vocifera pure da 2 mld), e non sarà senz’altro palazzo Sansedoni a conferire capitali freschi. Dunque, la mossa di domani è determinante per invogliare investitori (stranieri?) a prendersi una fetta consistente della banca.

Per certi versi domani è anche l’ultimo atto della Fondazione Mps per come l’abbiamo sempre conosciuta; rappresentante di quella continuità storica che dal 1622 (ai tempi del Granducato di Toscana), “per voto della Magistratura e del popolo senese”, come si legge al comma 2 dell'articolo 1 del medesimo Statuto, ha conferito senesità alla banca e ne ha impedito per secoli la sua contendibilità dall’esterno.

In seguito al voto di domani è immaginabile che la Fondazione scenderà ancora drasticamente, impegnata nel tentativo di ripianare gli ingenti debiti contratti con 11 istituti di credito proprio per finanziare gli aumenti di capitale di Mps degli anni passati. Si vocifera che a breve potrebbe liquidare circa il 15% (passando così dal 33 al 18%) delle attuali azioni per pagare gli interessi sul debito e provvedere alla eliminazione del medesimo. E c’è chi ipotizza che a breve arriverà ad avere poco più del 10% di quote dell’istituto, una volta completato l'aumento di capitale. «La Fondazione non è un bancomat» fu una delle frasi più famose del presidente Gabriello Mancini quando tutti salivano le scale di via Banchi di sopra. Però, intanto, prelevavano tutti (o quasi). Da domani, la Fondazione non sarà più un bancomat. E la frase di Mancini rimarrà scolpita nella storia di Siena come un amaro presagio.

Peraltro nelle discussioni preparatorie all’assemblea vi era stato anche chi aveva ipotizzato se non di abolire il tetto del 4% almeno di portarlo al 10% per tutti i soci, come accade in altri istituti di credito. Ma si è preferito abbattere ogni tetto. E qualcuno dovrebbe spiegare meglio il perché.

La politica nazionale (tutta di parte democratica, in verità), intanto, fa pressioni perché si proceda senza indugi. Qualche giorno fa era stato segretario confederale della Cgil Susanna Camusso, favorevole all’abbattimento nonostante il parere opposto della Fisac provinciale. Mentre è assordante il silenziose della Cgil di fronte ai licenziamenti che la stessa Banca sta portando avanti a ritmi vertiginosi (e sembra giunto al termine l'iter per il bando sul Consorzio operativo) e mentre aziende collegate hanno già messo oltre 200 persone in cassa integrazione.

Ieri, poi, è stato il sottosegretario all’economia Stefano Fassina ospite a Poggibonsi a metterci un carico sopra. Di fronte al sindaco della città valdelsana, Lucia Coccheri (per un triennio nel cda di Rocca Salimbeni all’epoca di Giuseppe Mussari) ha detto che «l’abbattimento della soglia del 4 per cento nel diritto di voto ai soci diversi dalla Fondazione, apre una prospettiva positiva per la Banca, per la Fondazione e per tutta la città di Siena». Poi, nel silenzio dei presenti, ha proseguito dicendo che «Mps non poteva essere una grande banca nazionale tenendo chiuso il fortino a Siena». Chissà perché ma tornano in mente le parole dell’allora presidente del Pd, Rosi Bindi che nel febbraio scorso esclamò «finalmente si è rotto il legame stretto tra Siena e la terza banca del Paese». «La classe dirigente – ha continuato Fassina -, e in particolare l’ex sindaco Franco Ceccuzzi e il Presidente della Provincia Simone Bezzini, hanno dato un contributo importante per dar vita ad una svolta, che oggi si è compiuta».

Sembra proprio che a qualcuno questo legame stretto e storico desse tanto fastidio. E che qualcuno avesse una missione da compiere e si sia impegnato fortemente nel riuscirci. Bisogna dirlo ha ragione Fassina: «missione compiuta». Da domani è tutto finito. Chi aveva il compito di portarla in fondo sarà adesso ricompensato?

Ah, s'io fosse fuoco