Sull’acquisizione di Antonveneta da parte del Monte dei Paschi di Siena cala l’ombra di «interessi e sollecitazioni esterne alla banca e ascrivibili in prima battuta al panorama politico locale e nazionale». Lo scrivono i Pm Giuseppe Grosso, Aldo Natalini e Antonino Nastasi nel decreto per la richiesta di archiviazione di banca Mps, inizialmente indagata. Le indagini su Mps e in particolare sull’acquisizione di Antonveneta, «valorizzano, in modo deciso ed inequivocabile», i vertici di Mps (l’allora presidente Giuseppe Mussari e l’allora Dg Antonio Vigni) avevano «un modus operandi autoreferenziale, verticistico ed asservito al soddisfacimento di interessi in generale distonici da quelli dell’Ente» scrivono ancora i Pm.
Una banca non in grado di affrontare l’operazione «Attraverso condotte fraudolente – ovvero mentendo all’autorità circa il fatto che la Banca fosse in grado di sostenere le misure patrimoniali necessarie all’acquisto di Bav – i vertici della banca Senese hanno dato ad intendere» che Mps potesse sostenere l’acquisto di Antonveneta, si legge ancora nel decreto di richiesta di archiviazione per la banca. Per i Magistrati «la banca in realtà non stava bene e non era in grado di affrontare l’operazione».
L’apparenza inganna Non solo, secondo i magistrati «l’esigenza su cui tutto viene sacrificato è quella di mantenere l’apparenza di una situazione che permetta il conseguimento dell’agognata e necessaria autorizzazione» sebbene l’operazione di acquisizione di Banca Antonveneta determini un danno a Mps «che non possiede I requisiti economico-patrimoniali per sostenere l’acquisizione rispettando I ratios richiesti dalla normative di vigilanza di cui Banca d’Italia è garante».
Il processo continua Nell’inchiesta sull’acquisizione di Antonveneta i Pm hanno, invece, chiesto il rinvio a giudizio, per otto imputati oltre alla banca d’affari Jp Morgan. Si tratta di Giuseppe Mussari, Antonio Vigni, Daniele Pirondini, Raffaele Giovanni Rizzi, Tommaso Di Tanno, Pietro Fabretti, Leonardo Pizzichi e Michele Crisostomo. L’accusa, a vario titolo, è di manipolazione del mercato, ostacolo all’Autorità di Vigilanza, false comunicazioni sociali. Mussari è accusato anche di Insider trading. La nuova udienza davanti al Gup Monica Gaggelli, è già stata fissata per il 6 maggio.
Minacce e muri di gomma. Il clima caldo in Rocca Nella giornata di oggi, intanto, al Tribunale di Siena si è tenuta una nuova udienza del processo riguardante la ristrutturazione del derivato “Alexandria” per il quale sono accusati di ostacolo all’autorità di vigilanza l’ex presidente Mps, Giuseppe Mussari, l’ex dg, Antonio Vigni, e l’ex responsabile dell’area finanza, Gianluca Baldassarri. Dal banco dei testimoni sono emerse “curiose” dinamiche sul clima pesante che si respirava in Rocca Salimbeni. Un clima fatto di «minacce», di persone sollevate improvvisamente dal proprio incarico, «di muri di gomma». Due i testi sentiti oggi: Flavio Borghese, uno dei trader dell’area finanza di Mps, e Giovanni Conti, all’epoca capo area Risk management della banca. A Borghese, arrivato da Antonveneta, che in diverse mail portate oggi in aula, contestò le operazioni fatte con la banca giapponese Nomura, ancor prima della ristrutturazione di “Alexandria”, secondo quanto da lui raccontato, fu spiegato da Baldassarri che nella banca senese «si può vivere molte bene o molto male e tu ti stai avviando a vivere molto male». Minacce che sarebbero state rivolte anche a Conti, che aveva iniziato a contestare le operazioni dell’area finanza, cioè di Baldassarri, già nel 2006.
Quella lettera senza risposta «Nel dicembre 2006 mandai una lettera all’audit dicendo che le prassi operative della finanza erano tali che se non vi si fosse posto rimedio la voragine nel portafoglio finanziario della banca sarebbe stata incalcolabile». Nessuna risposta arrivò se non una contestazione, dalla direzione generale qualche tempo dopo, per aver «condiviso» alcune informazioni sul derivato “Alexandria” con Mps Capital Services: «mi sembrava normale visto che loro erano i nostri referenti». «Fui ripreso con atteggiamento intimidatorio», ha spiegato ancora Giovanni Conti. Più tardi «chiesi perché Mps dovesse legarsi a Nomura per le operazioni sui btp italiani quando nel gruppo proprio con Capital Services avevamo uno dei referenti del Ministero del Tesoro sui titoli di Stato. Nomura sapeva bene cosa avrebbe poi fatto con noi – ha aggiunto Conti – tanto che comprò numerosi Btp 2039 prima di chiudere l’operazione con Mps». Dalla segreteria della direzione generale allo stesso Conti e all’allora Cfo Marco Morelli venne chiesto di avallare l’operazione con Nomura, «ma entrambi ci rifiutammo». «Gli scontri con l’area finanza – ha concluso Conti – erano all’ordine del giorno, e tutti lo sapevano». Da una relazione sua e di Morelli, consegnata alla direzione generale, nacque l’ispezione interna, «ma erano anni che andavo contro i muri di gomma».
Le difese non ci stanno Dai difensori dei tre imputati ai due testimoni sono state numerose le contestazioni, in particolare nei confronti di Borghese al quale gli avvocati hanno contestato di non essere stato «sollevato» dall’incarico, di seguire gli accordi con Nomura a luglio, come da lui dichiarato, visto che anche alla fine di agosto gli sono arrivate mail dai dirigenti sulla vicenda compresa quella del 30 luglio con il mandate agreement, che lui ha detto di aver visto molti mesi dopo.
Stamani si erano presentati anche Alessandro Barnaba e Enrico Bombieri, entrambi di Jp Morgan, ma Pm e difensori si sono accordati per acquisire le sommarie informazioni già acquisite durante gli interrogatori davanti ai magistrati, senza sentirli in dibattimento.