SIENA – Il titolo ne ha subito risentito. Più della perdita di oltre il 4%, a preoccupare è però l’impatto della caduta del Governo sul futuro di Mps.
Poggiato su tre pilastri: l’uscita di 3.500 persone entro il 1 dicembre, l’aumento di capitale da 2,5 miliardi e la trattativa con l’Europa per ottenere una proroga dei tempi di uscita del Tesoro dal capitale azionario della banca. Se il primo tassello si gioca su un tavolo interno, gli altri due dipendono da movimenti esterni. E’ noto che nella ricapitalizzazione 1,6 miliardi sono ad appannaggio dello stato. Non è la presenza di un ministro a far girare la macchina, ma è evidente lo spessore di Mario Draghi avrebbe reso l’operazione più credibile. Soprattutto agli occhi dei privati, che dovranno accompagnare il pubblico, investendo 900 milioni dentro l’istituto di credito.
La consolazione parziale è legata al fatto che il premier resterà in carica per la gestione corrente e magari potrà essere sufficiente come garanzia. Lo sarebbe stato sicuramente nella partita che si gioca con Bruxelles. Data l’esperienza e lo spessore politico ed economico, averlo anche al tavolo delle trattative (anche nell’interposta persona del ministro Franco), avrebbe dato rassicurazioni da una parte e dall’altra. Nonostante Draghi pubblicamente non abbia quasi mai parlato di Mps, verrebbe da pensare che un ruolo nelle trattative lo avesse comunque avuto. Resta da capire se di fronte a questi eventi l’amministratore delegato Luigi Lovaglio produrrà delle contromosse.
Al momento c’è da registrare l’allarme della senatrice Carla Ruocco, che i qualità di presidente della commissione d’inchiesta sul sistema bancario, aveva ascoltato il banchiere pochi giorni fa: “Bisognava fare l’ultimo metro, con l’aumento di capitale di due miliardi e mezzo, che sarebbe stato fatto con un governo in sella. Ci vuole fiducia e solidità per portare sul mercato un asset del genere e con una situazione così frammentata l’iter rischia un congelamento, uno stop”.