«Questa è l’ultima città al mondo dove si può parlare male della finanza». Le parole, quanto mai profetiche, furono pronunciate a Siena da Massimo d’Alema durante il suo intervento al congresso nazionale dei Giovani Democratici. Era la fine di marzo del 2012, pochi giorni prima c’era stata la grande manifestazione in piazza degli 8mila dipendenti del Monte dei Paschi (leggi) e, solo due giorni dopo, il Consiglio di Amministrazione di Rocca Salimbeni avrebbe presentato il bilancio d’esercio 2011, quello con 4,69 miliardi di euro di perdite (leggi) . Lo stesso giorno del congresso nazionale dei Giovani Democratici a Siena, su precisa domanda “Cosa ne pensa della vicende che stanno attraversando Banca Monte dei Paschi di Siena?” Massimo d’Alema glissò: «Nulla, assolutamente, non mi compete» (guarda l'intervista)
Un mese dopo Per una corretta ricostruzione temporale dei fatti, finiva ufficialmente l’era Mussari al Monte dei Paschi (l’annuncio dell’abbandono era di metà gennaio) con l’assemblea degli azionisti che dava il via libera al bilancio d’esercizio 2011 e dava il benvenuto ufficiale al duo Viola-Profumo (leggi). Ancora un mese dopo, il sindaco di Siena Franco Ceccuzzi avrebbe dato le dimissioni dalla poltrona di primo cittadino (leggi) additando di tradimento alcuni consiglieri di maggioranza rei, tra gli altri capi di accusa, di non aver digerito la “discontinuità” caldeggiata per le poltrone di Rocca Salimbeni.
Oggi A dieci mesi da quel congresso nazionale dei Giovani Democratici e da quel «Nulla, assolutamente, non mi compete», Massimo D’Alema interviene invece in maniera strutturale e approfondita sul Monte dei Paschi di Siena. Ora, in piena campagna elettorale e in pieno clamore mediatico, cambia il diritto (o l’opportunità?) di competenza e afferma:«Al di là delle strumentalizzazioni bisogna cercare di andare alla sostanza della vicenda Monte dei Paschi di Siena. Una vicenda che pone tre problemi. Il primo – ha detto D'Alema- è la necessità di ridurre la presenza e il controllo pubblico sulle banche. Chi ha promosso meno peso nelle fondazioni delle banche siamo stati noi e i governi Amato e Ciampi. Il secondo punto è che la vicenda mette in evidenza la necessità dei controlli non dei partiti ma del governo e di Bankitalia. Il terzo – ha proseguito – sono i derivati, prodotti bancari altamente a rischio. Occorre una normativa stringente che consenta di non mettere a rischio il denaro dei risparmiatori. Il Pd – ha aggiunto D'Alema- non c'entra nulla nella vicenda Mps. Gli amministratori di Siena nominano le loro rappresentanze nella fondazione, e può darsi che nel passato abbiano scelto persone sbagliate, ma come amministratori sensibili li hanno anche cambiati. Questa vicenda nasce dal fatto che gli amministratori della banca hanno portato alla magistratura le carte per fare chiarezza, quindi se si parla di colpe pregresse si deve parlare anche dei meriti degli attuali amministratori. La politica senese – ha concluso D'Alema – ha promosso il rinnovamento di Mps, il sindaco di Siena si è giocato il posto e si è dimesso, ed è il candidato del Pd»
All’indomani dell’assemblea degli azionisti Ma il diritto (o l’opportunità?) di competenza aveva visto un cambio di rotta sul «Nulla, assolutamente, non mi compete» già all’indomani dell’ultima assemblea azionisti Mps (leggi) quando, nell’involuzione di un circo mediatico, nella battaglia elettorale dai toni forti, nel’inopportunità di interventi a scopo di lucro intorno al Monte, D’Alema ha detto: «Che strano, qualcuno oggi mi accusa di essere l’ispiratore dell’affare Antonveneta dopo avermi accusato di esserlo stato per Unipol-Bnl. La verità è che l’operazione Unipol-Bnl era una scelta strategica. Il gruppo dirigente del partito era a favore e Montepaschi invece era contrario. E questa è la conferma clamorosa che non è affatto vero che il partito controllava la banca, perché la banca era completamente autonoma. Aggiungo, però, che uno non può essere accusato di essere lo sponsor di un’operazione e del suo contrario, altrimenti diventa una barzelletta e magari mi accuseranno anche di essere responsabile della guerra in Cecenia. Nella diffamazione ci vuole coerenza».
Due spunti e accapo Non compete entrare nel merito della vicenda Unipol-Bnl e Monte dei Paschi risalente ai primi anni 2000, non avrei fatti e parole dirette a testimoniarlo come fonti. Non interessa entrare nel merito delle accuse, dei botta e risposta, dei diti puntati e dei nascondini dietro l’angolo. Non faccio campagna elettorale e, a dire il vero, mi disgusta il circo politico-mediatico intorno alla vicenda Mps. Ma una cosa, ricostruendo I fatti e le dichiarazioni a portata di mano come fonti, è il dover constatare che le parole hanno un peso e, anche quando non impresse su pietra, rimangono. Non si può tacere o parlare basandosi su criteri di competenza o opportunità. In politica, come nella diffamazione, ci vuole coerenza. Altrimenti, diventa una barzelletta.