Ma allora chi paga? Chi deve risarcirci dei guai che hanno investito il Monte dei Paschi? Son due tra le molte domande che un’indignata opinione pubblica formula con amaro stupore dopo la sentenza assolutoria emessa in sede di appello dalla terza sezione penale del Tribunale di Firenze. Ribaltando quanto deciso in primo grado si è giunti ad una piena assoluzione dei tre imputati.
Non ci fu, dunque, alcuna manovra di occultamento nei confronti degli ispettori di una Vigilanza di Bankitalia quanto meno distratta o superficiale. E non si potrà più parlare di una folgorante “scoperta” nell’ottobre 2012 del “mandate agreement” col quale si affidava a Nomura la ristrutturazione del chiacchieratissimo derivato Alexandria. Da documenti quali il “Deed of Amendment” ben noti alla Vigilanza era evincibile o sospettabile la sciagurata operazione architettata. Di fronte ad un colpo di scena non sorprendente viene da fare due riflessioni.
I meccanismi di controllo non hanno funzionato a dovere. Anche in seno alla Commissione bicamerale d’inchiesta quanto detto da Corrado Barbagallo, capo della Vigilanza, su Mps non aveva affatto convinto. Era stato abbastanza elusivo sulle modalità di esame seguite dai suoi uomini. Bankitalia è sembrata più disposta a tollerare una strategia – uno stratagemma – i cui rischi non erano misteriosi che rigorosa garante di trasparenza e solidità. È indubbio che il tema della Vigilanza bancaria andrà approfondito e rivisto anche in chiave europea.
L’altra considerazione da mettere in risalto è tutta politica. Si può convenire a fil di logica giuridica che i problemi insorti con le spregiudicate iniziative di Mps e dell’accondiscendente Fondazione riguardano essenzialmente problematiche gestionali da giudicare secondo un’ottica civilistica, ma resta interamente in piedi la dimensione politica del caso. E ciò vale anche per il processo già aperto a Milano – prossima udienza il 14 dicembre – che registra come capi d’accusa il falso in bilancio e la manipolazione del mercato nell’acquisto di parte di Antonveneta. Affidare al potere giudiziario e a sottili ragionamenti normativi i compiti propri dell’analisi politica e delle azioni ad essa attinenti è un errore madornale. Commesso dai blogger più incarogniti e praticato con ostinazione da chi ha creduto e crede che la via d’uscita da crisi che hanno seminato dolore e rabbia sia tutta o in prevalenza giuridicistica. Le sentenze dei Tribunali – discutibili come ogni atto umano – continueranno ad essere pronunciate con il solito andamento ondulatorio.
Chi esercita funzioni politiche deve rispettare gli ambiti di autonomia di un sistema che ha bisogno di radicali riforme. Deve promuovere un ceto dirigente capace di riguadagnare la fiducia perduta. Ma si tenga ben presente che anche le scelte che investono credito e finanza sono frutto di visioni politiche. Chi ha commesso errori tanto sconvolgenti e provocato danni irreversibili ha responsabilità ineludibili. Gli strumenti che ha l’opinione pubblica, abbagliata da inarginabili false notizie e sedotta da sbrigative accuse giustizialistiche, sono il voto e un ritrovato impegno di razionale e onesta partecipazione nella definizione degli orientamenti da osservare nel governo della cosa pubblica.
Il monito riguarda tutti gli attori in campo, chi più chi un po’ meno. Nessuno si rifugi nel limbo delle buone intenzioni o sbandieri una sentenza per dire: io non c’entro.
da Il Corriere Fiorentino del 08 dicembre 2017