Il giorno che, vincendo la pigrizia, decidessimo di scappare dal mondo, converrà farlo in bicicletta. Tutti i veicoli, ancorché più veloci, non consentono, infatti, la soddisfazione fisica (e la sua benefica ripercussione sullo spirito) di una fuga a due ruote: che in tal caso non significherebbe tanto la ricerca di ‘altri’ luoghi, ma di un modo per attraversare, percepire, ritrovare gli stessi luoghi in maniera ‘altra’. E in quella “velocità silenziosa” avvertire il sentimento del mondo, quasi fosse ascoltabile a rime baciate, perché – Paolo Conte non ha dubbi in proposito – “una bici si declama / come una poesia / per volare via”.
Peraltro, se volessimo davvero buttarla in poesia, rinveniamo ‘pedalate’ di indubbia nobiltà letteraria. Pensate che Giovanni Pascoli fa salire in bici pure i temi impegnativi della sua poetica, così da dire: “Mia terra, mia labile strada, / sei tu che trascorri o son io? / Che importa? Ch’io venga o tu vada, / non è che un addio”. Ciclista più o meno immaginario, egli lascia che i pensieri si allertino al “dlin… dlin” della “piccola squilla” e nonostante l’inesorabilità di ciò che al poeta risulterà comunque un addio, non nega che “bello è quest’impeto d’ala”, “grata è l’ebbrezza del giorno”.
A porvi mente scopriamo che la letteratura da tempo dispone di proprie ‘piste ciclabili’. Guido Gozzano si ritrova, affidatagli momentaneamente in custodia da una fanciulla, una “bicicletta accesa d’un gran mazzo di rose”, finché la ragazzina non recupera la rutilante macchina che “il fruscio ebbe d’un piede scalzo, / d’un batter d’ali ignote, come seguita a lato / da un non so che d’alato volgente con le rote”. Se poi il velocipede evoca amori, Corrado Govoni non può dimenticare quando “Tu pedalavi vaporosa avanti, / ed io a volo dietro il tuo cappello, / come in un delizioso carosello / mosso da Dio sol per noi amanti”. E sempre sul filo dei ricordi ronzano le ruote di Giorgio Caproni: “E come dolcemente geme / ancora, se fra l’erba un delicato / suono di biciclette umide preme / quasi un’arpa il mattino”.
In bicicletta, insomma, non si fugge da nulla; anzi, ritroviamo noi stessi e sé medesimi, con rinnovati sguardi, dentro paesaggi, umanità e cose della vita. Forse per tali ragioni H.G. Wells, popolare scrittore britannico e convinto pacifista, sosteneva che vedere una persona in bicicletta fa pensare a come per l’Uomo possa esserci ancora speranza. Sia chiaro: per spingersi su quei pedali un po’ di fatica è richiesta. Oltre a un’intima sintassi che sappia cogliere i moto a luogo… del cuore.