«No' siamo quella razza che non sta troppo bene: che di giorno sarta fossi e la sera le cene». È la frase simbolo di una Toscana povera ma laboriosa, forse “gretta” ma estremamente poetica che rendeva ogni angolo di ogni provincia un luogo magico di storie, aneddoti e vicende da raccontare. Carlo Monni, di quel microcosmo, ne era volto e simbolo. Il noto comico fiorentino si è spento ieri, a Firenze, dopo una lunga malattia. Aveva 69 anni, era nato a Campi Bisenzio il 23 ottobre 1943. Oggi, un’intera regione lo piange, insieme al mondo del cinema e del teatro italiano. La semplicità e la schiettezza, tipiche di un “Toscanaccio doc”, sono i caratteri che hanno contraddistinto la vita, prima della carriera, di Carlo Monni.  
 
Una carriera lunghissima «Quella razza semo noi. E' inutile fa' finta: c'ha trombato la miseria e siamo rimasti incinta». I versi finali di quella poesia che Carlo Monni in versione “Bozzone” recitò sulla canna della bicicletta guidata da “Cioni Mario”, alias Roberto Benigni, in “Berlinguer ti voglio bene” (regia di Giuseppe Bertolucci). Fu in quel lungometraggio che il grande pubblico iniziò ad apprezzare Monni, che sin dall’inizio affiancò Roberto Benigni in “Televacca”, parodia di un format tv ambientato in una stalla. Dagli esordi all’approdo sul grande schermo. Carlo Monni ha lavorato con i grandi registi italiani: da Massimo Troisi a Mario Monicelli, da Pupi Avati a Tinto Brass, passando per Paolo Virzì e Francesco Nuti, insieme a molti altri per un’infinita filmografia. Numerosi e di successo i suoi impegni teatrali: diventate un assoluto cult le sue improvvisazioni con lo sboccato duo Ceccherini-Paci. Da oggi pomeriggio alle 14.30 la salma sarà esposta a Firenze, al Teatro di Rifredi, dove domani si terrà la commemorazione.
 
I ricordi «Carlo Monni era una persona vera, come poche», ha detto all'Asca il regista Giovanni Veronesi commentando la scomparsa dell'attore che ha diretto nell'ultimo ''Manuale d'amore 3''. «Monni era quello che si vedeva, una montagna di energia. La sua risata spezzava in due la tristezza»: così, invece, lo ha ricordato Leonardo Pieraccioni. «Dietro le quinte – ha ricordato Alessandro Benvenuti che ha diretto Monni in “Bevnetuti in casa Gori” – era uno che giocava spesso a carte. Con tanti bischeri che calcano i palcoscenici e girano per le strade ma proprio lui se ne doveva andare?». Paolo Virzì lo ha ricordato come una «bestiaccia meravigliosa, piena di ilarità e di dolore. Attore sublime per la sua sfrontata autenticità, maestro d'ottavine cantate all'improvviso, pensate come un cinghiale ferito, delicato come un passerotto».

Il volume Grande tristezza anche nelle parole di Francesca Fazzi, co-titolare della Maria Pacini Fazzi Editore di Lucca, la casa editrice che a giorni farà uscire l'ultimo libro di Carlo Monni scritto da Sandro Bartolini, dal titolo ''Baciami francese. Le avventure del giovane Carlo Monni''. Un libro in cui l'artista aveva voluto raccontare nel suo solito modo scanzonato e irriverente come, in gioventù, avesse deciso di «principiare a fare il raccontatore solista sui palcoscenici», un autoritratto originale e ironico che oggi, a poche ore dalla sua scomparsa, si colora di una nota in più di malinconia.

Nel libro «Prima di partire per Roma con la combriccola che voi sapete, Roberto Benigni, Donato Sannini e Aldo Buti, avanti il disperato ritorno, solo soletto solitario, il qui presente spensierato signore, ebbe una lunga esperienza di lavoro internazionale – dice Monni nell'incipit del libro –. E udite! Udite! Prima di conoscere il mondo, mi formai tra i fossi e i campi, pieni di pruni, erbacce, ortica, bietola, cardellini e beccafichi, scriccioli e pettirossi, mota e bottino, seguendo i consigli del mio babbino. Io, Carlo Monni, nato a Champs sur le Bisance, un passo alla volta, senza rendermene conto, diventai attore, un capo-comico, un istrione, un animale, una bestia da palcoscenico''. ''Oggi, nel nuovo secolo -prosegue il testo- passeggio per i teatri con Boccaccio e Dante, declamo di Farinata degli Uberti e del tenero ed incommensurabil amore di Paolo e Francesca. Mi vesto nei camerini, ansimo sui palchi per Pinocchio, con Ceccherini e Paci. Recito le Compilation 1-2-3, Falstaff e gli allegri compari dell'osteria del cinghiale, Dino Campana, il Lamento di Cecco da Varlungo e Benvenuti in casa Gori''. ''Ogni mattina, col sole o con l'acqua, scendo dal tram, alla fermata Paolo Uccello e se mi volto, vedo la cupola del Brunelleschi, laggiu' in fondo, nel mezzo al mare di Firenze. Macino chilometri, alle Cascine, compro pane e verdure in Oltrarno. Giro per i teatri, i bar, le feste, le piazze. Amo la compagnia degli amici, delle donne in miglior grado.Soffro, sbraito, mi lamento, rivolto le budella, piango, rido, mi sganascio! E' per la vita, triste e allegra, che mi vanto. Amoreggio! Mangio e bevo! E canto!»