Dallo spazio e dall’assenza di gravità oppure dal suo contrario, l’ipergravità, arriveranno indicazioni utili per prevenire e curare l’insorgere di malattie connesse all’invecchiamento della popolazione e alla sedentarietà sulla Terra. Per compiere questi esperimenti, l’Agenzia spaziale europea ha selezionato per la campagna 2016 “Spin your thesis!” la proposta di un team italiano, coordinato da Debora Angeloni, ricercatrice dell’Istituto di Scienze della Vita della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa. Il team “HypE” (acronimo di “Hypergravity effect on Endothelium”) coordinato dalla Scuola Superiore Sant’Anna, è stato chiamato a condurre esperimenti in ipergravità all’interno della “Large diameter centrifuge”, una “centrifuga” del diametro di 8 metri che permette di ottenere condizioni di gravità superiori a quella terrestre, installata nel Centro europeo di ricerca spaziale e tecnologica (Estec), in Olanda, a Noordwijk.
Il progetto Per “Spin your thesis!” 2016 l’Italia ha conquistato un lusinghiero successo. Dei tre gruppi, due arrivano dall’Italia. Oltre al team “Hype” l’Agenzia spaziale europea ha scelto, nel contesto della stessa campagna, anche “PlanOx”, composto da allievi ph.d dell’Istituto di BioRobotica della Scuola Superiore Sant’Anna, del Centro Cmbr di Istituto italiano di tecnologia con sede a Pontedera con il coordinamento di Gianni Ciofani, ora al Politecnico di Torino, e da una docente dell’Università di Pisa. Si tratta di un’ottima opportunità per il team guidato da Debora Angeloni e composto da Chiara de Cesari e Olga Pyankova, entrambe allieve del ph.d. in Medicina traslazionale della Scuola Superiore Sant’Anna; Marco Maria Germani, allievo ordinario di medicina della Scuola Superiore Sant’Anna; Matteo Vezza, studente dell’Università di Pisa e allievo interno del laboratorio. La ricerca del gruppo “HypE” mira alla comprensione dei meccanismi molecolari che rispondono a variazioni della forza di gravità in cellule endoteliali umane, le cellule che rivestono dall’interno i nostri vasi sanguigni. Le alterazioni funzionali di queste cellule, infatti, sono connesse a numerosi disturbi riportati dagli astronauti al rientro da missioni spaziali e sono le stesse che si osservano in caso di invecchiamento e prolungata sedentarietà nella popolazione.
La gravità per curare le malattie «La forza di gravità – commenta Debora Angeloni – ha contribuito in modo importante a plasmare la vita nelle forme che conosciamo oggi. Studiare gli effetti biologici dell’assenza di gravità può fornire informazioni preziose sull’organizzazione strutturale e funzionale dei viventi, anche aprendo finestre inattese sul limite fra salute e malattia. La microgravità però rappresenta soltanto una faccia della medaglia, l’altra è rappresentata dall’ipergravità. Per questo motivo, dopo aver portato un esperimento a bordo della Stazione spaziale internazionale nel 2015, il nostro gruppo di ricerca – continua Angeloni – si è interessato agli effetti dell’ipergravità. Da questi studi ci si aspetta la scoperta di marcatori di infiammazione e degenerazione utili per prevenire e curare disturbi che accomunano tanto gli astronauti al ritorno dallo spazio quanto la popolazione, durante l’invecchiamento».