Bellezza e scienza. L’idea parte dai preziosi tesori custoditi dal Museo degli Argenti di Palazzo Pitti: in questo caso la straordinaria raccolta di vasi intagliati in lapislazzuli, vera passione della corte Medicea e lussuoso ornamento di cerimonie e banchetti. Ma il tema si allarga subito e coinvolge altri tipi di ricerche scientifiche e altre discipline come la mineralogia, che qui fa da co-protagonista. Un ampliamento del punto di vista che caratterizza le mostre curate da Maria Sframeli, direttrice del museo, per il palinsesto espositivo del Polo Museale Fiorentino. Accanto alla bellezza delle opere, ecco quindi che è proprio la rara e preziosa pietra blu dalle mille sfaccettature al centro della mostra ‘Lapislazzuli. Magia del blu’, aperta fino all’11 ottobre nelle sale del museo (orario: tutti i giorni 8.15-18.50, dal 1 settembre 8.15-17.30, chiuso primo e ultimo lunedì del mese. Info: 055.238 8709 – www.unannoadarte.it).
Roccia preziosa Una mostra dedicata dunque ad una pietra, o meglio ad una roccia, in quanto il lapislazzulo non è un minerale ma una roccia composta da minerali diversi, fra cui quella ‘lazurite’ che predomina e dà il nome. «L’idea di dedicare una mostra a questa pietra, carica di magici significati, ci è stata offerta da Gian Carlo Parodi, mineralogista del Museum National d’Histoire Naturelle di Parigi» spiega Sframeli, che ha curato la mostra insieme allo stesso Parodi, Valentina Conticelli e Riccardo Gennaioli. Coinvolto da subito anche il Museo di Storia Naturale dell’Università di Firenze, diretto da Giovanni Pratesi, che ha avuto un ruolo di primo piano nell’elaborazione del progetto ed ospita al Museo della Specola una sezione della mostra, dedicata alla pietra e ad altri aspetti di ricerca scientifica.
Dal mondo antico al Rinascimento L’uso del lapislazzulo per la creazione di oggetti ornamentali o di culto è molto antico e il percorso espositivo inizia con reperti provenienti dalla Valle dell’Indo (7.000 a.C.), dalla Mesopotamia (6.000-2.500 a.C.) e dall’Egitto della XVIII dinastia (1.500 a.C.). All’epoca, e ancora fino ai viaggi di Marco Polo, esisteva al mondo una sola miniera dove procurarsi il lapislazzulo: tra le montagne di Sar–e–Sang, nell’odierno Afghanistan. Cave protette da picchi di 7000 metri dove le ‘lenti’ di lapislazzuli, spesse qualche metro, drappeggiano in blu il candore del marmo, oggi come allora. Ma è nel Rinascimento che il prodotto diventa un ‘must’. In pittura viene polverizzato e usato ad esempio da Beato Angelico per il manto delle sue Madonne, trasformando così l’azzurro nel colore iconografico della Vergine. Vanto delle botteghe di intagliatori milanesi, l’arte di intagliare questa pietra è invece introdotta a Firenze nel 1572 da Francesco I de’ Medici, che fa venire da Milano i fratelli Gian Ambrogio e Gian Stefano Caroni; sede dei laboratori granducali e nucleo delle botteghe di corte è il Casino di San Marco. Dalla fucina delle Botteghe granducali cominciano così ad uscire vasi, coppe, mesciroba e fiasche: come quella, celeberrima, disegnata da Bernardo Buontalenti nel 15983-84 che costituisce l’immagine della mostra. A queste testimonianze del gusto manieristico fiorentino se ne affiancano altre nel percorso espositivo, provenienti dai più prestigiosi musei d’Europa: il Prado di Madrid, l’Ashmolean di Oxford, il Grünes Gewölbe di Dresda, il Landesmuseum Württemberg di Stoccarda.
Simbolo di regalità e potere Tipicamente fiorentina è poi la sezione ‘Commesso in pietre dure e pietre dipinte’, che racconta l’evoluzione dell’uso del lapislazzulo nel primo Seicento in due ambiti, quello del commesso (l’intarsio) e quello della pittura su lapislazzuli, animati dallo stesso desiderio di rendere eterna e fissare la natura nei colori immutabili della pietra. Pagato a peso d’oro, il lapislazzulo diventa sempre più simbolo di regalità e potere (vedi l’enorme centro-tavola di epoca napoleonica) fino a che una penuria di ‘lazurite’ porta alle prime ricerche chimiche per ottenere il pigmento in maniera sintetica. Fu il chimico francese Tassaert a battezzare nel 1814 la nascita della prima sintesi del colore ’oltremare’ artificiale, seguito da altri pigmenti sintetici e, nel 1956, dalle ricerche dell’artista francese Yves Klein, che mise a punto un blu molto profondo utilizzando un pigmento oltremare sintetico mescolato ad una resina industriale. Un colore che diventerà celebre con il nome di Internationale Klein Blue (IKB).
I gioielli del Novecento La mostra si chiude con una piccola sezione di gioielli del Novecento e contemporanei, che peraltro si riallacciano a una sezione del museo di recente creazione, dove lapislazzulo puro e pigmenti sintetici offrono l’occasione di nuove rivisitazioni in oreficeria. L’allestimento è di Opera Laboratori Fiorentini – Civita Group sotto la direzione di Mauro Linari, il catalogo è di Sillabe.