Il grido di dolore dei pensionati italiani. E toscani. Se il tema della previdenza è il principe dei problemi per la finanza pubblica che guarda ai prossimi trent’anni, gli iscritti della Spi Cgil non ci stanno a passare per privilegiati. Gli ultimi dati Inps (Bilancio sociale 2014) confermano, infatti, che il 42,5% dei pensionati italiani, quasi uno su due (6,5 milioni di persone), ha un reddito da pensione inferiore ai mille euro. In Toscana il dato è del 35,59% (384.228 pensionati). Addirittura tra questi 1 milione 880.000 (12,1%) ha assegni inferiori ai 500 euro. In Toscana sono 96.322 (8,92%).
Toscana, due pensionati su tre sotto 1.500 euro Va decisamente meglio a 724mila pensionati in Italia (4,6%) che ogni mese possono contare su un reddito medio mensile di oltre 4.300 euro. In Toscana su 1.079.430 di pensionati solo 59.206 hanno un reddito medio mensile sopra a 3000 €, mentre il 60,18% delle pensioni non supera i 1.500 euro, e il 30% è compreso nella fascia 1.500-2.500 euro. Mentre le donne sono concentrate nelle classi di importo più basse.
Tasse al 20 per cento Non va meglio per le tasse applicate sulle pensioni che in Italia, si sa, sono tra le più alte d’Europa. Su una pensione di 1.500 euro, infatti, in Italia sono tassate per il 20,7%, contro lo 0,2% della Germania, il 5,2% della Francia, il 7,2% della Gran Bretagna e sempre distanti dal 9,5% della Spagna.
«Sistema che produce disparità» «Il sistema pensionistico in Italia è iniquo, conseguenza delle riforme sulla previdenza, che crea grandi squilibri e discriminazioni tra pensionati, tra lavoratori e lavoratrici, tra uomini e donne, tra giovani e anziani sia sul reddito da pensione che sulle modalità e requisiti di accesso al pensionamento», ha detto Franco Capaccioli della Spi Cgil di Siena al convegno organizzato nei giorni scorsi dal titolo appunto “Un grido di dolore”. Erano presenti anche il segretario della Camera del lavoro di Siena, Claudio Guggiari, la costituzionalista Elena Bindi e il segretario nazionale della Spi Cgil Ivan Pedretti.
Le riforme della previdenza La previdenza in Italia ha subito negli ultimi 23 anni ben cinque riforme e molti interventi legislativi restrittivi. L’ultima porta il nome della ministra Elsa Fornero (L. 214/2011), varata dal governo Monti nei giorni dell’emergenza finanziaria. Il maggiore sindacato italiano non ci sta e, dopo la sentenza della Corte Costituzionale della primavera scorsa che ha dichiarato incostituzionale il blocco della perequazione per alcune fasce di pensioni, è tornato alla carica per una revisione dell’impianto normativo. Non soddisfatto del successivo e riparatore decreto del Governo che è stato varato senza alcun confronto con il sindacato. «Un governo di cui continuiamo a vedere la politica “classista” che mira a privilegiare alcune categorie. E così quelle più ricche finiscono per essere ancora più ricche», ha detto Claudio Guggiari.
In futuro pensioni da povertà «Vogliono far apparire le pensioni una rendita anche tra le più lussuose – ha continuato Franco Capaccioli -, anziché un salario differito il cui pagamento non è una regalia, perché per averne diritto sono stati versati contributi per i quaranta e più anni lavorativi. Peraltro gli effetti della riduzione continua dei coefficienti di trasformazione, determineranno future pensioni (in modo particolare per i più giovani che hanno iniziato a lavorare dopo il 1995) con importi in continua e drammatica riduzione. E se non si introducono elementi di solidarietà, nel futuro, con il puro calcolo contributivo si determineranno pensioni sotto la soglia di povertà». In particolare per giovani con lavori discontinui, donne precarie, chi affronta periodi di disoccupazione, avranno una pensione molto bassa, per questo è sempre più urgente un intervento di correzione del sistema».
Le rivendicazioni «Come Spi-Cgil – ha concluso Ivan Pedretti della segreteria nazionale Spi Cgil – rivendichiamo la definizione di un nuovo sistema di perequazione annuale che garantisca realmente il potere d’acquisto e che non sia manomesso ad ogni legge di stabilità; un sistema orizzontale che, fino a sette volte il minimo, dia garanzia di copertura al 100 per cento per tutte le pensioni; il raddoppio dell’intervento economico che il Governo ha sostenuto nel decreto. Infine, abbiamo proposto, che gli interventi sul sistema previdenziale che producono risparmi siano utilizzati in un fondo di solidarietà per le generazioni future».