“Se si trovano d’accordo, nevica”. Così diceva un osservatore attento e disincantato delle cose del Pd senese, la mattina della direzione provinciale che ha poi sancito all’unanimità la designazione di Fabrizio Nepi come candidato alla Presidenza della Provincia. Beh, in effetti a Firenze venerdì mattina la bomba di grandine ha sparso una coltre bianca sulla città. Ma l’apparenza inganna. Non era neve quella, così come non è segno di unità reale, l’unanimità raggiunta nel Pd con la designazione del sindaco di Castelnuovo
Berardenga. Perché le dimissioni di Juri Bettollini e degli altri dirigenti renziani, alla vigilia della direzione, hanno sancito da una parte uno strappo profondo e dall’altro messo le premesse per scardinare il “Patto del Bravio” che voleva candidato presidente Andrea Rossi, sindaco di Montepulciano. Ipotesi pensata anche per inserire nel cuore della Valdichiana un argine al leader renziano Stefano Scaramelli in vista delle regionali. E Scaramelli ha reagito candidandosi.
Rossi e Scaramelli si sono poi entrambi fatti da parte, e una volta preso atto che una sintesi non poteva essere espressa dal segretario provinciale Niccolò Guicciardini vista la sua indisponibilità per giocare la partita delle regionali, ecco spuntare la soluzione Nepi. E l’annessa unanimità, che ha di fatto solo sospeso una partita aperta.
Ma nulla è emerso sul piano del confronto di contenuti. E solo a Siena queste elezioni secondarie hanno suscitato uno scontro tanto profondo, quanto utilizzato solo in chiave di deterrenza rispetto alle diffuse ambizioni verso le elezioni regionali. Insomma, è stata una prova d’orchestra, per far suonare tutte le proprie trombe al momento delle candidature per la Regione. Chi ha stonato, chi ha accordato bene gli strumenti, lo si capirà a breve, visto che
si voterà a marzo. E chi, mutuando da Renzi, ha dato dei “gufi” a chi ha semplicemente rappresentato la realtà di divisioni profonde e tutte ancora irrisolte, forse aveva voglia di scherzare. O magari di lasciarsi andare a quell’ “orgoglio di partito”, che è senz’altro da rispettare quando viene espresso da iscritti e dirigenti di base, che alimentano solo della propria passione l’impegno politico, nel più puro spirito di volontariato. Ma se all’orgoglio identitario fanno appello i dirigenti che poi si contendono, oltre ai posti di responsabilità anche le poltrone, allora c’è poco da stare allegri.
Oltretutto nella carenza più totale di una piattaforma programmatica
territoriale condivisa o anche contrapposta. Perché se c’è qualcuno che sa spiegare
quale sia il contenuto che sottintende all’elezione di Fabrizio Nepi, beh è
davvero un mago. Una volta misurate le forze e preso atto che nessuna delle
candidature in pista avrebbe ottenuto i due terzi dei voti necessari, la realtà
è che a poche ore dalla Direzione, il partito della provincia di Siena era
sull’orlo di un commissariamento di fatto. Nepi, persona per bene che ha ben
compreso quale sia stato il suo ruolo, ha rappresentato l’ultima carta
per non giocare una partita che nessuno avrebbe vinto. Se i passi indietro dei
contendenti abbiano aperto la strada anche a scenari futuri magari già
patteggiati – presidenza di un Ato, candidatura regionale, cambiamento ai
vertici del partito – questo lo capiremo solo vivendo.
Qualche traccia dell’agenda politica futura del massimo partito della
provincia, la si intravede, semmai, leggendo tra le righe delle dichiarazioni,
molte entusiastiche fuori di misura, elegiache addirittura sul tema
dell’unanimità. Per esempio, lo sguardo alla galassia renziana, fa emergere,
toni, contenuti e atteggiamenti ben diversi, lasciando però aperti
interrogativi che avrebbero bisogno di maggiore chiarezza: Juri Bettollini,
dimissionario che si è sacrificato per non soggiacere ad un disegno politico
che non poteva condividere, scrivendo su Fb, recupera anche il linguaggio
generazionale dei renziani della prima ora: “Raga, #stiamosereni!!……….
presto, nei luoghi dove siamo nati, in mezzo alla gente, alla nostra gente, per
prenderci impegni concreti e perché la sfida che ci aspetta tra qualche mese,
porterà quel cambiamento vero da tanto atteso. E stavolta, raga, non si fanno
prigionieri e questa è una promessa!!”. Primo quesito: chi sono quelli da non
fare prigionieri?
Luigi Dallai: “Le divisioni nel Pd senese rispecchiano l’incapacità di
confrontarsi al proprio interno”. Bene, è una frase forte – soprattutto perché
viene dal parlamentare renziano – che esprime una critica verso il segretario
provinciale e i vertici del partito? E allora perché non fare nomi e cognomi?
Oppure solo una generica autocritica che lascia il tempo che trova. Dallai
aggiunge anche una speranza: “Ora è il momento di unire tutte le forze”. Uniti
dopo aver espresso una linea precisa, dopo un confronto che recuperi il vuoto
congressuale, e faccia capire anche alla gente normale, dove voglia andare
questo Pd e quale idea abbia per rilanciare una provincia fuori da tutti i
giochi? Oppure uniti per orgoglio di partito e basta.
Poi si legge Stefano Scaramelli, che dice: “A guidare il territorio deve essere
una nuova classe dirigente”. In questo caso è chiaro che Scaramelli, unico
sindaco toscano voluto da Renzi nella Direzione nazionale, la canta a
Guicciardini e ai vertici del partito. E allora c’è da capire se stavolta
Dallai sia d’accordo o meno. Questioncella non da poco: perché finora i due
renziani più alti in grado non sono mai andati in sintonia. Anzi, solo una
volta: nella richiesta comune di evitare la conta congressuale, invitando tutti
ad aderire alla candidatura Guicciardini, che in congresso se la vide, così,
solo con Burresi. Errore colossale per la complessiva credibilità del renzismo
senese.
Non è questione di risiko interno, di guerre di posizionamenti. Resta evidente
lo scollamento fra gli equilibri e le vittorie renziane quando la platea di
voto è estesa fuori dai confini del partito. E la conta dei numeri interna,
quando a votare sono solo gli iscritti piddini. Un doppio binario irrisolto. E
il fatto è che la guerra interna al Pd, la mancanza di chiarezza su chi comandi
davvero, la tentazione a continui accordi verticistici che taglino di netto il
coinvolgimento della base, la sconta poi la gente normale, che vive in quel
territorio senese depredato sì per le scorribande della finanza disinvolta e
incompetente. Ma che non avrebbe potuto avere campo libero se non avesse avuto
le spalle coperte dalla politica, e dal Pd in primo luogo.
A breve, con l’assemblea comunale imminente per la sostituzione del
dimissionario Alessandro Mugnaioli, altro giro altra corsa. Le minoranze, attraverso
Alessandro Pinciani e Gianni Porcellotti, si sono già espresse chiedendo
un nuovo congresso. C’è da capire non solo cosa voglia fare la maggioranza, ma
anche cosa sia oggi, la maggioranza del Pd della città, da chi sia composta,
con quali numeri e seguito. Quale atteggiamento abbia rispetto alla giunta di
Bruno Valentini e alla sua maggioranza, dove Siena Cambia è stata messa
all’indice dal documento dei segretari cittadini, che va considerato
sottoscritto da tutti fino a quando i distinguo non saranno espliciti e
pubblici. Di mugugni sotto traccia non ci sarebbe più bisogno. Né di soluzioni
al chiuso delle stanze, che continuino a rinserrare il Pd senese dentro una
sorta di fortino, in preda a guerricciole e rivalse personalistiche. Fuori
luogo e fuori tempo massimo.