“L’ultimo Harem” non è uno spettacolo che si va a vedere, lo si viene a respirare al Teatro di Rifredi di Firenze (dall’11 al 21 gennaio, feriali ore 21, domenica ore 16:30) in una ormai codificata liturgia teatrale che ogni sera ha qualcosa di magico e unico: un incanto che si è ripetuto per oltre dodici anni e che ancora non accenna a tramontare.
Lo spettacolo Siamo nel palazzo di Yildiz a Istanbul nel 1909, alla vigilia della definitiva chiusura degli harem. “Ciò che è destino che avvenga, avviene, e ciò che non deve avvenire, non avverrà”: così dice la saggia guardiana dell’harem Serra Yilmaz all’indomita favorita circassa Humeyra, Valentina Chico, dopo che l’insinuante eunuco Sumbul, Riccardo Naldini, le ha annunciato il probabile arrivo notturno del sultano. I tre inganno l’attesa con il racconto di storie fantastiche. Più di cento anni dopo, una casalinga dimessa e la sua spumeggiante amica sognano improbabili fughe dalla prigione del loro indecifrabile malessere quotidiano.Partendo da una bellissima novella de “Le mille e una notte” (La storia dell’orafo Hasan e della donna con le ali), dai ritratti e dalle testimonianze antiche e recenti di alcune favorite, oltre che da alcuni brani della scrittrice turca Nazli Eray e della marocchina Fatema Mernissi, Angelo Savelli ha costruito un viaggio nell’immaginario femminile, un percorso alla scoperta della donna come custode dell’oralità che, reclusa nelle mura domestiche, tesse con le sue parole un affascinante arazzo multicolore, in cui maschi e femmine restano impigliati con le loro eterne contraddizioni. Accomodati, in palcoscenico, intorno alla scena di un lussuoso harem-hammam, seduti su tappeti e cuscini, gli spettatori, affascinati dalla vicinanza fisica degli attori e coinvolti dal loro affabulare immaginario e reale al tempo stesso, assistono allo spettacolo immersi in un’atmosfera sensuale fatta di profumi, vapori, musiche che provengono da paesi lontani, per poi essere catapultati in una contemporaneità ricca di ironia e di inquietanti rimandi al passato.