«L’estate è quasi terminata e la situazione dello stabilimento Lucchini di Piombino è sempre più drammatica. Dopo lo spegnimento dell’altoforno, avvenuto nell’aprile scorso, adesso si è fermata anche la cokeria». Comincia così la lettera che Paolo Francini, operaio della Lucchini, ha indirizzato oggi alla presidenza del Consiglio, al presidente della Regione Rossi e al segretario nazionale della Fiom, in cui annuncia uno sciopero della fame per sensibilizzare le Istituzioni sulla vicenda dello stabilimento. «Io sono solo un lavoratore (iscritto alla Fiom) di 54 anni che dal 1980 lavora nella fabbrica di Piombino – scrive Francini -. Non ho altro modo di esprimere la necessità dei riprendere la lotta per i nostri diritti e per il lavoro, se non quello di mettermi in gioco personalmente. Per cui dalle ore 8 di sabato 30 agosto alle ore 8 di lunedì 1 settembre sarò all’ingresso della città di Piombino, nell’aiuola pubblica all’ingresso della Sol, facendo lo sciopero della fame. Sarà banale, ma è vero: chi lotta può perdere, ma chi non lotta ha già perso!! E se si perde questa volta, lasceremo alle nuove generazioni un futuro di miseria e disperazione».
Governo, promesse non mantenute «Nessuna delle promesse del Governo è stata mantenuta – aggiunge nella lettera – l’impegno a non spegnere l’altoforno, l’arrivo della Concordia a Piombino e lo stesso accordo di programma appare di difficile e lunga applicazione. Forse addirittura una grande scatola vuota. Fin troppo facile constatare che Piombino e i suoi lavoratori sono stati traditi e abbandonati, senza scrupoli. Anche la proposta di acquisto dello stabilimento da parte del gruppo indiano (ammesso che vada in porto) non può essere la soluzione definitiva, in quanto assicurerebbe il rientro in fabbrica solo a 700 persone, riassunte probabilmente, dietro un rigida selezione che una volta si definiva padronale, con diritti e salari da terzo mondo. Non è accettabile una soluzione per alcuni, mentre altri restano nell’ incertezza; così scateneremmo solo una guerra fra poveri. L’unico percorso condivisibile – conclude – è quello che assicura lavoro stabile, con la salvaguardia dei diritti acquisiti per tutti, lavoratori diretti e dell’ indotto. Questo si può ottenere in un solo modo: tornando a produrre acciaio allo stabilimento di Piombino»