Conosco Luca Banchi e Marco Crespi. Li conosco entrambi. Ho condiviso con tutti e due la tradizione di qualche colazione in una nota pasticceria senese in cui settimanalmente (spesso il sabato mattina) scambiavamo sensazioni sul momento della stagione, sul lavoro tecnico della settimana, sui prossimi avversari e sul bellissimo “più e meno”. Sarei stato ore a confrontarmi, mentre Luca beveva il suo tradizionale tè e Marco il suo espresso, in quella che metaforicamente era l’intrigante differenza tecnica tra i due. E mentre io ordinavo il più classico “pasta e cappuccino” si parlava su quell’adeguamento fatto nella partita di Eurolega o su quello che avrebbero fatto la domenica contro l’avversaria che proponeva il campionato italiano, sempre insidioso. La palpabile tensione del giorno precedente la partita era vissuta, da tutti e due, con la consapevolezza del lavoro settimanale svolto pronti per la riunione tecnica che di lì a poco li avrebbe visti impegnati con la squadra. Me ne andavo ogni volta colpito di come il lavoro fosse la loro unica regola di vita, di come quella corda dovesse essere sempre tesa. Per questo, dopo gara 7 della finale scudetto, ho pensato subito che nessuno dei due ha perso questa finale.
Il successo di Luca Luca ha lasciato Siena accettando una proposta che nessuno (nessuno) dei suoi colleghi avrebbe potuto rifiutare per condizioni contrattuali (durata e ingaggio), “carta bianca tecnica” e la sfida di riproporre “il modello” da qualche altra parte. Milano rappresentava una sfida enorme che lo avrebbe sottoposto a incredibili pressioni (come puntualmente si è verificato) ed al pensiero dell’abbandono da parte dell’ambiente senese, che tanto aveva apprezzato il suo contributo tecnico, frutto anche dei suoi confronti con Pianigiani, del suo know-how nell’alzare di livello giocatori normali, che a Siena sono diventati veri top player. Ma fare l’allenatore di mestiere è fondamentalmente cercare un posto dove allenare alle migliori condizioni economiche possibili, anche con scelte impopolari.
Marco foolish Marco ha accettato un incarico “folle”, esattamente “su misura” alle sue esperienze precedenti, con alcune similitudini all’esperienza di Casale Monferrato, anche se con storie e destini diversi. A Siena doveva rappresentare il vero punto di riferimento (tecnico e carismatico) di una ennesima risurrezione sportiva dove, stavolta davvero dopo molti anni, si doveva spremere il sangue da dignitose rape. Cosa in cui è riuscito benissimo, come a Casale.
Le sfide Cosa hanno dovuto affrontare? Luca la diffidenza di un ambiente troppe volte deluso da campagne acquisti altisonanti coincise con importanti delusioni. E poi una squadra con qualche intuizione (Samuels) ma troppe volte corretta in corsa, con evidenti bocciature di qualche giocatore che lui stesso ha platealmente decretato. In più l’ovvio di come il “pacchetto Siena” dovesse replicare quanto fatto vedere in passato, oltre ad opinione pubblica importante una spasmodica attenzione da parte dei media. E allora sono passati in secondo piano i risultati in Eurolega (usciti con un certo Maccabi), i trentelli all’Olimpiacos ed al Barcellona, le 18 vittorie consecutive in campionato. Come se tutto fosse ovvio. Marco ha vissuto l’Eurolega in trasferta (sempre) con il caso-Firenze che ha spaccato la tifoseria, i guai giudiziari della società, i due mesi di tempesta tecnica dopo la cessione di Daniel Hackett (che fino a quel momento aveva rappresentato il faro della squadra) e, infine, i playoff iniziati in salita, sconfitti da una Reggio Emilia che avrebbe dovuto simbolicamente decretare quel “crollo” di un gruppo che tutti gli avversari aspettavano da quasi un decennio.
Etica e lavoro come chiavi di due uomini Cosa li ha aiutati? La loro profonda conoscenza di ogni sfaccettatura di questo gioco a quel livello, le variabili che ci girano attorno (giocatori, procuratori, giornalisti, tifosi, opinione pubblica in genere), l’aver vissuto già lavorato in passato nei posti “melmosi”, il ricercare la soluzioni ad ogni problema tecnico, l’accettare qualche compromesso tecnico, cercare di entrare ogni giorno sotto la pelle dei propri giocatori, le notti insonni e il lavoro (vedi sopra). Vi sembra poco? Vi garantisco che è il lavoro di un anno, stando ogni giorno “sul pezzo”, senza poter mollare di un centimetro. Per questo per me hanno vinto entrambi. Prima di ogni considerazione sui massimi sistemi se la sono giocata fino all’ultimo minuto, venendo da percorsi diversi ma con “vissuti” simili. Continuerò a fare colazione il sabato mattina in quella pasticceria. Gli eventi e molti colpevoli faranno si che mi ritrovi da solo. Mi siederò, ordinerò i miei rituali “pasta e cappuccino”, e mi gusterò il ricordo di quelle chiacchierate con due veri “mostri” della mia passione preferita.