E’ iniziata questa mattina alle ore 08.00 (le nostre ore 09.00) da Westminster bridge l’avventura di Milko Gennai, senese di Rapolano Terme, che dall’Inghilterra deve raggiungere Instanbul, tagliando in obliquo tutta l’Europa, in bicicletta. 3800 chilometri da percorrere in poco più di 15 giorni, toccando alcune tappe obbligate che gli consegneranno l’attestato di partecipazione alla “Transcontinental Race 2014“. Soste obbligate, dunque, a Parigi (dove prese il via il primo Tour de France), al Passo dello Stelvio, sulle montagne del Montenegro e, appunto, nella capitale turca.
Il programma di viaggio prevede almeno 300 chilometri al giorni da macinare dalle prime ore del mattino al tardo pomeriggio. Gennai non è alla sua prima avventura estrema, ha sulle gambe molte imprese, tra cui il Cammino di Santiago, un viaggio a Sarajevo, entrambi con partenza da casa sua a Rapolano Terme, e molte corse non professionistiche, tra cui la 1001Miglia e l’Eroica. Seguiremo questa impresa nei prossimi giorni, intanto un grande in bocca al lupo da parte della redazione di agenziaimpress.it
Sabato 9 agosto Puntuale la partenza da Westminster bridge, all’ombra della celebre torre del Big Ben, con una certa emozione e con le classiche foto in posa. Prima Milko e il suo compagno di avventura Mario Zangrando, presidente della u.s. Bormiese ciclismo, avevano ritirato la pettorina della corsa (n. 88 per Milko) e la tessera che certificherà il loro passaggio nei punti stabiliti dal regolamento. Milko si è presentato all’appuntamento con una maglia della Bulletta bike di Castelnuovo Berardenga. La prima giornata si è conclusa con l’attraversamento della Manica in traghetto e con poco più di 200 chilometri percorsi prima della sosta in terra francese, intorno alle ore 21.30. Milko e Mario viaggiano insieme ma ad una certa distanza perché, da regolamento, nessun ciclista può succhiare la ruota ad un altro, cioè n sfruttare la scia di altri.
Martedì 12 agosto Sono stati due giorni intensi e “un po’ complicati” quelli di domenica e lunedì scorsi fra pioggia, vento e il traffico di Parigi. A complicare le cose, ieri, anche alcune strade sbagliate che hanno fatto perdere un po’ di tempo ai nostri due ciclisti. Tuttavia, la prima sosta nella Ville Lumiere è stata rispettata e il certificato regolarmente ritirato. La notte scorsa si sono fermati a dormire alle 23.30 nel cuore della Francia e solo la grande passione dei nostri cugini d’Oltralpe per il ciclismo e per i ciclisti ha fatto trovare loro da mangiare e dormire, a quell’ora. Chissà, forse i francesi non sono più “incazzati” per la vittoria di Bartali e anzi ci rispettano dopo la vittoria di Vincenzo Nibali? Oggi, dopo aver pedalato per un tratto in terra tedesca, è previsto il loro arrivo in Svizzera, a Basilea.
Le mie lacrime davanti all’Atlantico. In attesa di conoscere le prossime tappe del lungo viaggio transcontinentale di Milko Gennai, riproponiamo la cronaca del suo Cammino per Santiago dell’estate del 2008 in cui la fatica e l’emozione per il pellegrinaggio si fusero in un pianto davanti all’immensità dell’Oceano. «Quando ho finito il viaggio ed ho visto davanti a me la distesa dell’Oceano non ce l’ho fatta ed ho pianto. Non so perché. Ero contento. Ma ho capito che era finita e mi sono scese le lacrime dagli occhi», raccontava allora Le mie lacrime davanti all’Atlantico. Storia di un viaggio pedalando
Venerdì 15 agosto E siamo a 1600 chilometri percorsi; il viaggio di Milko e Mario è giunto a metà. Anche le scorse giornate sono state molto impegnative per i nostri due ciclisti. Prima si sono lasciati alle spalle la Svizzera e il principato del Liechtenstein; hanno attraversato il passo dell’Alberg (1793 mslm), “durissimo” non tanto per l’ascesa quanto per il freddo incontrato in discesa. Qui è venuta fuori tutta l’esperienza degli atleti che, zuppi e quasi assiderati hanno potuto fare un cambio di vestiti asciutti e ripartire per Landeck e di nuovo rientrare in Svizzera. Poi il passo di Resia (1504 mslm) in Italia e la sosta a Trafoi, quasi a metà salita dello Stelvio, il Re dei passi di montagna con i suoi 2758 metri sullivellodelmare. L’indomani hanno ottenuto l’agognato timbro al secondo controllo, posto proprio lassù in cima “dove tutto sembrava fuorché estate”.
La loro corsa poi è ripartita giù a capofitto (con il termometro che è arrivato anche a Zero gradi) per la Val Venosta fino a Merano, poi Bolzano, Trento (con la raccolta delle mele corso), la Valsugana, Bassano del Grappa e Castelfranco Veneto.
Lunedì 18 agosto La fatica si fa sentire dopo 9 giorni pieni di pedalate. Nei giorni scorsi i nostri hanno attraversato la Pianura Padana fino Trieste con vento contro per tutta la mattina. Arrivati in città un nubifragio di mezz’ora e 20 cm d’acqua sull’asfalto. Sono comunque saliti fino alla frontiera slovena che hanno percorso per 20km circa, per entrare quindi in Croazia, poco oltre Rijeka (la nostra vecchia Fiume).
Poi, ripartiti come sempre alle sei, con forti venti da est, sono anche dovuti scendere per superare una curva sulla strada costiera croata, perché il vento li stava volando in terra o peggio sul fondo dellas cogliera a strapiombo sul mare. Da Karlobag, per fortuna, molto meglio, con il panorama di una costa bellissima con insenature e mare meravigliosi. Nel finale di giornata anche un tratto nell’interno, “altro mondo rispetto alla costa più evoluta”. Qui sono ancora visibili i segni della guerra della metà degli anni ’90, con ancora alcune indicazioni di campo minato a bordo strada. Fine tappa a Sibenik, in Dalmazia, a 80 km da Spalato. Oggi Dubrovnik.
Martedì 19 agosto “Ieri sera siamo arrivati a Scutari, Albania. Eravamo partiti alle 06.00 dal Dubrovnik, bellissima città con la parte nuova e moderna da una parte e quella veneziana dall’altra (nel 1991 durante la guerra della ex Jugoslavia venne ferocemente bombardata dalle montagne e in seguito ricostruita, NDR). Abbiamo attraversato l’interno e varcata la frontiera montenegrina.
E se il paesaggio che incontravamo era simile, la gente appariva subito più indisciplinata sulle strade, con un traffico intenso. Davvero spettacolare il fiordo di Kotor. Da lì siamo saliti al monte lovcen (1749 mslm), la però strada arriva a 1400 mt circa e sulla salita era posto l’ultimo controllo della corsa. Ora non rimane che quello finale, a Istanbul. A quel punto giù a capofitto a Podgorica, la capitale. Sulle strade tante auto, anche italiane, degli anni ’70 e ’80. Poi l’arrivo a Scutari, una città viva, ma comunque degradata. Ci siamo sistemati in un albergo a 4 stelle conciato davvero male. Da noi sarebbe chiuso! Oggi, forse, la Grecia!”. Il viaggio, dunque, continua e i nostri hanno sulle gambe già 2400 chilometri percorsi.
Ci siamo, quasi. Ancora un ultimo sforzo e la città della Sublime Porta si aprirà al nostro campione. Dopo due giorni di pedalate in terra di Grecia, culla della civiltà, le ruote della bicicletta di Milko sono finalmente entrate in Turchia. E ora l’aria della città dai tre nomi, Costantinopoli, Bisanzio e Istanbul si sente sempre più vicina. Ma riprendiamo il filo del racconto da dove si era interrotto.
Dopo aver lasciato Scutari martedì scorso Milko e Mario, sempre a debita distanza per ragioni di regolamento, si sono diretti verso la capitale dell’Albania, Tirana, passando per un pezzo di autostrada non consentito alle bici dai cartelli in ingresso ma utilizzato ugualmente dietro consiglio della stessa polizia che ne piantonava l’ingresso! L’Albania è l’Albania. Lì il caos: camion, distributori, gommisti e autolavaggi più o meno inventati, tutto per l’auto insomma. Per fortuna che in ogni caso tutti si sono sempre dimostrati gentili, «anche sulle strade, dove guidano un po’ da pazzi ma hanno un gran rispetto per le bici e tutti ci aiutano a trovare la via giusta». «Dopo Elbasan infiliamo una valle, a fianco di un fiume, che ci introduce in una pianura interamente coltivata, dove il caos delle città è un ricordo lontano. Ancora autolavaggi, però! Qui si sale a 900 mt e poi si scende al lago di Pogradec. Ancora in salita e, finalmente, scendiamo in un’altra valle intensamente dedicata all’agricoltura dove, ormai è quasi buio, si vedono intere famiglie tornare a casa dai campi su un calesse tirato da un somaro. Troviamo da dormire a Lib.
Mercoledì 20, l’Albania è ormai alle spalle, e anche gli abitanti che comunque sono sempre stati gentili e disponibili mentre i bambini hanno sempre saluto festanti il passaggio. Si entra in Grecia. Il paesaggio cambia di colpo. Boschi e non più monti aridi e brulli. Si sale ai 1500 metri di Pisoderi, una stazione sciistica. Poi, giù nella valle di Florina dove il caldo comincia a farsi sentire. Ancora su a 1000 metri e poi di nuovo giù. Ora è il vento contro il problema. Si arriva a Salonicco, che aggiriamo con qualche difficoltà. Per trovare da dormire dobbiamo cercare in quattro paesi consecutivi. È buio da un po’ quando ci fermiamo a Nea Apollonia. Sarebbero le 22, ma con il fuso orario della Grecia sono le 23, riposeremo un’ora di meno. I pedali cominciano a scricchiolare, le ginocchia anche, ma abbiamo fiutato la meta.
Giovedi 21 Si parte che il sole è ancora a letto e arriva alla costa con il vento di nuovo ostile. Pedaliamo mettendo a fatica la strada dietro di noi, la costa non appare bellissima, poi a poco a poco si trasforma da arenile trascurato a piccole calette incastonate tra gli scogli. Raggiungiamo Kavala, che ci sembra molto carina, ha un bel centro e un acquedotto che sembra di epoca romana. Dopo pranzo il vento cambia un po’ e si calma, la strada ora scorre sotto le ruote e superata Komotini, voliamo verso Alexandropoli. Solo una foratura ci fa arrivare alle 21. Mancano 330 chilometri. La meta è sempre più vicina. La Sublime Porta si sta cominciando ad aprire.
Game Over Il viaggio è finito. I nostri sono arrivati alla agognata meta e tutto si è svolto secondo previsioni e programmi. Anzi, meglio visto che avevano tempo fino al 25 agosto per raggiungere la capitale turca. E, invece, con una accelerazione da campioni i nostri due atleti (perchè così bisogna definirli e non già semplici ciclisti) negli ultimi giorni hanno pedalato duro e mangiato chilometri su chilometri. Specialmente nel tratto in terra turca. L’arrivo stanotte. Ad annunciarlo sulla sua pagina Facebook è stato Milko che ha pubblicato caschetto e guanti davanti al grande ponte che collega la città di Instanbul a Scutari, l’Europa all’Asia, l’Occidente e l’Oriente. Nel loro piccolo un grande segnale, anche di pace in questi tempi martoriati dalle divisioni e dalle guerre. Lo sport può essere un grande ambasciatore di unione e pace. E Milko e Mario, come centinaia d’altri in questa prima edizione della Transcontinental Race hanno dimostrato di essere ottimi ambasciatori. Quella che segue è la cronaca delle ultime ore di pedalate in terra turca, con la città che prima di farsi conquistare dai nostri si diverte a farsi girare intorno.
Venerdi 22 È deciso. Sono tanti ma si possono fare. In fondo non ha senso fermarsi a 50/60 km dalla meta. Pedaliamo fino alla fine, che tanto abbiamo le luci, si va a oltranza. Da Alexandropoli ci dirigiamo verso il confine turco, a un quarantina di km. Scopriamo che tutti i militari che avevamo visto in città al mattino erano diretti proprio lì, alla frontiera, la più piantonata e controllata che abbiamo mai visto. Ci vuole un po’ per passare, tiro fuori il passaporto tre volte, poi entriamo in Turchia. Niente più frontiere tra noi e la meta, solo strada. Questa poi ha 4 corsie, più quella di emergenza, e lì almeno si pedala in sicurezza, ma è terribilmente monotona e faticosa. Una serie di gobbe diritte e lunghe, un saliscendi infinito senza la minima traccia di alberi o qualunque altra cosa che possa fare ombra. Intorno, solo campagna.
90/100 km di agonia, poi finalmente sì arriva a Tekirdag, sul mare, e l’animo si riprende. Bella città. Mangiamo su una terrazza affacciata sul porto quel che decidono i camerieri, non c’è verso di capirci niente con questa lingua. Poi, si riparte, sempre su stradoni a 4 corsie, dove tutti suonano il clacson quando passano. Nel caldo torrido del pomeriggio si vedono i cartelli stradali che danno Istanbul a 100km, poi 90, 80 e giù giù fino a meno 30 alla meta. Dobbiamo deviare verso nord, il regolamento dice di non entrare in città da quella parte che è pericoloso per il traffico. In effetti, abbiamo superato un pezzo di 4 corsie senza neanche un lembo di banchina e che ci ha fatto stare in tensione massima per un’ora. Da lì iniziamo un giro estenuante intorno alla città, e siamo ritornati a meno 80km al posto dei 30 che prometteva il cartello qualche ora prima. Si fa buio, ancora saliscendi, i soliti stradoni trafficatissimi che sanno di città e poi stradine dove non si vede una luce, con cani randagi a volte aggressivi, per fuggire ad uno volo anche in terra. Sa troppo di beffa sapere alle sei e mezzo di pomeriggio di essere a poche decine di chilometri dalla meta sognata per tanto tempo e trovarsi ancora a pedalare alle dieci, le undici di sera.
Dunque, ancora su e giù così per altre ore, col morale sempre più basso. Poi si rientra in città, una svolta e acqua, sulla nostra sinistra. È il Bosforo! Il Fatih Sultan Memeth, il ponte che collega l’Europa all’Asia, tutto illuminato da luci colorate ci riempie di gioia e ci risolleva lo spirito. Ora è certo, la metà è poche pedalate più avanti. Ci sentiamo chiamare dalla terrazza di un caffè. È Mike, il “padre” della gara, l’arrivo è qui. Sono le due. È notte. È caldo. È Istanbul!