In un quadro nazionale in cui la deprivazione materiale continua a rimanere a livelli elevati, in Toscana la povertà assoluta colpisce sempre più le famiglie numerose e composte da giovani o stranieri, e rimane immutata la sua diffusione territoriale. Nel 2017 la povertà assoluta in Toscana interessa circa 117.000 persone e 63.000 famiglie (contro rispettivamente 66.000 e 32.000 nel 2008). Sono i dati che emergono dal Terzo Rapporto sulle povertà in Toscana realizzato dall’Osservatorio Sociale Regione, e presentato stamani in un convegno nell’Auditorium di Sant’Apollonia, assieme al Dossier sulle povertà nelle diocesi toscane, messo a punto dalla Caritas.
L’assessore Saccardi: «L’obiettivo è prendersi cura dei soggetti fragili» «Il Rapporto, frutto di un approfondito lavoro di analisi condotto dall’Osservatorio in collaborazione con gli Enti locali e i soggetti del privato sociale – ha detto l’assessore al diritto alla salute e al sociale Stefania Saccardi – ci consente di conoscere i reali bisogni delle persone, per meglio programmare gli interventi di contrasto ai processi di impoverimento e di esclusione sociale, per contrastare la povertà, ma anche per individuare i fattori di rischio sul territorio per prevenirla. L’obiettivo è prendersi cura dei soggetti fragili, con un’attenzione particolare alle generazioni future. Il modello di welfare che come Regione abbiamo costruito in questi anni – ha sottolineato – non è limitato all’assistenzialismo, ma si fonda sulla dignità della persona, è una ricerca degli strumenti per l’autonomia, una costruzione di percorsi che portino fuori dalla povertà».
Il vescovo Filippini: «Società sempre più diseguale» «Questi dati ci rivelano una società sempre più diseguale – è il commento di monsignor Roberto Filippini, vescovo incaricato Cet per la Pastorale della Carità – dove regnano ancora discriminazioni di genere e di etnia, dove le famiglie presentano fragilità e frammentazioni profonde che pagano come sempre i più deboli, i minori; dove i poveri sono a rischio di cronicizzazione e dove per alcuni un’abitazione dignitosa rimane un desiderio irrealizzabile. I numeri e le tabelle ci rivelano una società marcatamente individualista, chiusa nella difesa degli interessi privati e prevenuta nei confronti dell’altro e del diverso».
Il rapporto La povertà assoluta continua ad esssere maggiore nelle grandi aree urbane, sulla costa e agli estremi nord e sud della regione. Con il Reddito di cittadinanza, rispetto al Rei (Reddito di inclusione) aumentano la platea e le risorse, ma non cresce la capacità di copertura. Se tutti i potenziali beneficiari facessero effettivamente domanda, il Reddito di cittadinanza potrebbe coinvolgere circa 52.000 nuclei familiari e 116.000 individui. Le domande presentate in Toscana sono 65.000: di queste ne sono state accolte circa 37.000 (di cui il 16% per la Pensione di cittadinanza), che coinvolgono 82.000 persone. Sia per il Rdc che per il Rei, comunque, i beneficiari riescono difficilmente a uscire dalla condizione di povertà assoluta: su 100 beneficiari, solo 10 per il Rdc e 6 per il Rei. La povertà ha una natura multidimensionale, e la carenza alimentare si conferma una delle più importanti forme di povertà. Dalla ricerca effettuata ogni tre anni nelle scuole della Toscana (che coinvolge più di 12.000 ragazzi tra 11 e 17 anni) emerge un discreto livello di benessere relazionale e culturale, soprattutto tra i più piccoli. E questo sembra essere un valido supporto al contrasto della “povertà educativa” minorile.
Cresce la povertà tra i giovani adulti, prevalentemente uomini di origine straniera; ma cresce anche quella dei govani adulti italiani. Sono stati rafforzati i servizi dedicati al contrasto della povertà, con l’assunzione di 70 nuovi assistenti sociali e un aumento di ore di quelli già in servizio. Le reti composte da soggetti del Terzo Settore si integrano con l’operato dei servizi pubblici, dando vita a forme di collaborazione efficaci. Gli interventi di inclusione previsti dal Piano Povertà ammontano a 11,5 milioni di euro.
Il percorso di impoverimento può iniziare con la perdita del lavoro, un divorzio, una malattia. Da quel momento la persona è chiamata ad adattarsi progressivamente a una condizione di marginalità sociale che cambia la sua quotidianità e implica un rimodellamento del suo modus vivendi. Fondamentale costruire politiche preventive, e non successive agli eventi avversi. E coinvolgere direttamente nella ricerca le persone in condizione di indigenza, che possono aiutare per una migliore comprensione del fenomeno.
Il Dossier sulle povertà nelle diocesi toscane della Caritas Nel 2018 la Caritas ha incontrato 24.060 persone (53,2% donne, 46,8% uomini). Continua a restringersi la forbice tra italiani e stranieri, e in alcune diocesi già da qualche anno gli italiani sono più numerosi degli stranieri. Il 73,7% dei 15.049 immigrati incontrati vive in Italia da almeno cinque anni. Il problema più grande è la mancanza di lavoro: non ce l’ha il 68%, un’incidenza che sale al 75,2% per le donne e al 73% per gli stranieri. Ma anche chi il lavoro ce l’ha deve ricorrere ai servizi della Caritas: il 15% delle persone incontrate svolgono lavori pesanti, precari, pericolosi, poco pagati e socialmente penalizzanti. Più di una persona su dieci (12,9%) vive in una condizione di marginalità abitativa, molto prossima a quella di senza dimora. Un quarto (25,9%) ha un’abitazione provvisoria e il 61% una stabile. La solitudine, spesso in conseguenza dei processi di disgregazione familiare, è la condizione di maggior disagio dal punto di vista relazionale. Tra le persone incontrate dalla Caritas, sono cresciuti moltissimo i giovani adulti (18-24 anni): dal 2007 al 2018 sono passati da 120 a 1.297. Nelle 8.288 famiglie incontrate vivono 9.577 minori, e il rischio è che la povertà si possa tramandare di padre in figlio. Cresce l’area della cosiddetta povertà cronica: 36,5% nel 2018, contro i 30,6% del 2017. I servizi più conosciuti sono il trasporto pubblico (71%), supermercati (69,4%), farmacie (64,8%), negozi (62,9%), uffici postali (61,3%), banche (48%). Molto distaccati ci sono i servizi pubblici di tipo socio-sanitario e culturale: sanitari (38,7%), sociali (29,4%), biblioteche e centri di aggregazione (25%). Un sesto (17,3%) non li frequenta. Chi invece la frequenta, ha utilizzato i servizi sanitari (57,3%), i servizi per l’impiego (53,8%), i servizi sociali (45,3%). Sostanzialmente positivo il giudizio sui servizi utilizzati: 80,6% considera utili le prestazioni ricevute dal servizio sanitario, 88,1% i servizi per l’infanzia, 70,3% i servizi sociali. Mentre per i servizi dell’impiego, solo il 21,1% degli intervistati li ha ritenuti utili.