Si terrà giovedì 24 marzo, una seduta speciale della Commissione di inchiesta su Mps. Fra gli altri, sarà sentito anche il sindaco di Siena, Bruno Valentini. Al centro delle audizioni i rapporti fra Fondazione e banca senese e la politica, negli anni che hanno portato al grave dissesto finanziario di Rocca Salimbeni e Palazzo Sansedoni. Nel corso di questi primi mesi di lavori la commissione ha sentito ex sindaci di Siena, giornalisti e l’avvocato Luca Goracci, difensore della famiglia di David Rossi, il manager Mps morto in circostanze da chiarire e che la Procura di Siena sta nuovamente indagando, dopo la riapertura del caso.
Agenziaimpress.it ne ha approfittato per fare il punto con i protagonisti della Commissione a 6 mesi dal suo insediamento, a partire dal suo presidente, Giacomo Giannarelli (M5s).
Soddisfatto di come stanno procedendo i lavori della Commissione dopo le prime, importanti, audizioni?
«Sono soddisfatto dell’andamento dei lavori fin qui svolto perché siamo all’interno di una commissione di inchiesta regionale che non ha i poteri di una commissione di inchiesta parlamentare e quindi stiamo cercando di ottenere il massimo con gli strumenti in nostro possesso. Le persone possono non venire in audizione una volta chiamate. Però abbiamo avuto la disponibilità, ad esempio, di Vincenzo Visco (ministro delle finanze dal 1996 al 2000, del tesoro e del bilancio dal 2000 al 2001 e viceministro dell’economia con delega alle finanze dal 2006 al 2008 NDR) a ricevere delle domande scritte alle quali poi fornirà le sue risposte. Così come ci ha risposto la segreteria di Mario Draghi, e abbiamo avuto risposte da Mario Monti che però ci hanno comunicato che non sarebbero venute in audizione. Al tempo stesso abbiamo sentito diverse persone interessanti, a partire dai giornalisti che sulla vicenda avevano indagato e, con dati oggettivi, abbiamo ricostruito quello che di pubblico si può sapere. Non dimentichiamoci, infatti, che ci sono indagini penali in corso e alcuni soggetti si sono limitati a dire quello che potevano, dovendo far fronte anche ad alcune riserve da prendere. E noi della Commissione non vogliamo assolutamente interferire con le indagini. Anzi, forse emergeranno altri filoni di indagine da questa commissione, e questo ce lo auspichiamo fortemente».
Come valuta la decisione di non venire in Commissione da parte del presidente Enrico Rossi?
«Per me è un motivo di delusione. Il suo rifiuto è politicamente gravissimo, perché un presidente della Regione ha il dovere di chiarire, ma non di rifiutarsi. Perché è andato alla commissione Forteto e non è venuto alla nostra? Davide Serra, esperto di alta finanza, ad esempio, poteva rifiutarsi ed invece, via Skype, risponderà. Se non ha niente da nascondere, dunque, perchè Rossi si rifiuta di essere sentito su alcuni fatti?. Nell’ultima audizione con Pierluigi Piccini (del 10 marzo scorso, NDR) il presidente Rossi viene tirato in ballo perché l’ex sindaco di Siena dice di averlo chiamato per un parere sulla nomina di Profumo, e se non ricordo male Piccini riferisce che Rossi gli avrebbe detto che lo stesso Profumo era uno dei massimi esperti del sistema bancario. Rossi era uno dei vertici del partito a livello regionale e su certi fatti non poteva non sapere. Fra le persone che ascolteremo, ad esempio, ci sarà anche l’attuale viceministro delle infrastrutture, Riccardo Nencini, che all’epoca dei fatti era presidente del Consiglio regionale. Non capisco, allora, la scelta del Governatore di non presentarsi nella nostra commissione».
Come giudica le parole di Matteo Renzi che ha confessato in un’intervista come il sindaco di Siena, Bruno Valentini lo abbia contattato prima della nomina dei nuovi vertici di Mps?
«E’ l’ennesima conferma di come i vertici del Partito Democratico abbiano influito sull’indirizzo della banca. Ovviamente il sindaco Valentini dobbiamo ancora sentirlo in audizione. Non so quanto Renzi sia implicato in questa vicenda, l’ombra sicuramente di quanto è accaduto è estesa al sistema partitico. Anche nelle ultime dichiarazioni dei sindaci di Siena, Piccini e Cenni, sono state confermate le pressioni avute per fare o non fare determinate scelte all’interno della banca. Abbiamo messo agli atti anche i versamenti che da privati facevano alcuni nominati nel sistema bancario legato a Mps ai partiti dal 2000 al 2010, documenti che vengono conservati nella Tesoreria della Camera, dove emergono tutti i contributi, fra cui Mussari che ha versato più di 400mila euro al Pd, come se ce ne fosse bisogno. Qualcuno durante le audizioni ci ha detto: “I Partiti nominavano ma poi i soggetti nominati agivano in autonomia”. Non è cosi perché ci sono libri, quali “Il codice Salimbeni” (di Pino Mencaroni e Alberto Ferrarese, Edizioni Cantagalli, NDR), in cui emergono legami assurdi fra politica e finanza. Noi vogliamo, con umiltà, mettere insieme alcuni tasselli di questa vicenda affinché non si ripetano più gli errori del passato e fare una relazione comprensibile per tutti i cittadini».
Ma qual è la sua visione a lunga distanza sul futuro della banca Mps?
«A me preoccupano alcune questioni che sono più etiche e morali che specificatamente di giustizia. Ricordo che non tutto ciò che è lecito, è onesto. Mi chiedo, ad esempio, se sia così onesto dare stipendi alti per un’azienda in fase di assestamento. L’esempio lo devono dare i vertici della banca. Per me è immorale che l’Amministratore Delegato e Direttore Generale (Fabrizio Viola, NDR) prenda circa 2 milioni di euro in una situazione di grande difficoltà, dopo che fra l’altro ci sono stati gli aiuti di Stato. A mio avviso gli stipendi dovrebbero essere maggiormente legati ai risultati, e probabilmente con un tetto massimo che fra l’altro per certi casi l’Europa aveva prescritto di 500 mila euro l’anno. Penso che tutto il mondo bancario, abbia imparato la lezione ma c’è anche una preoccupante continuità, perché da un lato si sta cercando di fare più chiarezza e trasparenza possibile sui bilanci e solidità finanziaria delle banche per far in modo che sia più chiaro all’investitore dove investire i propri soldi ma dall’altro vediamo che c’è anche una continuità con quello che è successo recentemente in Banca Etruria, dove si replicano intrecci fra speculatori della finanza, politici, banchieri vicini alla politica. E non solo per questioni di parentela».
Ha trovato reticenze nel suo lavoro di presidente della Commissione d’inchiesta?
«Dipende dagli argomenti trattati. C’è stata ad esempio reticenza da parte di Leonardo Marras (componente della Commissione e capogruppo Pd in Consiglio regionale, NDR) quando abbiamo acceso un faro sull’influenza del Partito Democratico sulla banca. Però, nel corso del tempo e vedendo che emergevano certe questioni, non si è potuto negare l’evidenza o la storia su quanto accaduto. Tutti, nella commissione, si stanno comportando correttamente, compreso Claudio Borghi che ha lavorato per anni alla Deutsche Bank. La nostra ambizione è ricostruire con chiarezza quanto avvenuto, con tutti i nostri limiti di cittadini portavoce in Consiglio regionale. Faremo una relazione conclusiva condivisa e cercheremo di mettere tutti i punti di vista degli altri commissari. Su alcuni aspetti, però, sarà impossibile avere soggettività ma si dovrà parlare di oggettività. Ci sono elementi che emergono con forza, e penso all’influenza dei partiti, alla massoneria deviata, crediti dati con facilità ad ‘amici degli amici’. Speriamo che parta l’indagine della Procura su questi aspetti, perché sono tutti da scoprire. Ad esempio: perché la banca è arrivata ad avere 47 miliardi di euro lordi di crediti deteriorati? Chi sono le prime venti aziende in contenzioso? Nell’interesse della cittadinanza vorremmo che fossero trovate risposte adeguate anche a queste domande».