Fu contadino ma fu anche pittore. Aleardo Monaci (1908-1989) è uno di quei figli di cui la Valdorcia va più fiera. Riconosciuta Patrimonio dell’umanità dall’Unesco dal 2004, amata e visitata da tanti turisti e appassionati del paesaggio, questa terra dura e aspra nel sud del senese sente ancora forte il richiamo delle proprie radici rurali.
A poco valgono i passaggi sulla Francigena, oggi Cassia, che l’attraversa di re e regine, papi e imperatori. Ai valdorciani piacciono quelli come loro, rudi e semplici, genuini ma fieri come i dipinti naif di Monaci che visse e lavorò a Poggio Rosa, alle pendici dell’Amiata e che, prima di tutti, vide (e dipinse) quel che gli altri ancora non vedevano. Per i suoi compaesani quelle terre erano miseria e fame, quelle mucche, pecore o maiali solo lavoro e sacrificio. Per lui no, erano colore e forma, bellezza e sublime perfezione. Come Ligabue, più di Ligabue.
Non passa anno che a questo pittore-contadino non venga dedicata una mostra, ma ogni volta sembra troppo poco a cospetto di un artista che sublima con il suo pennello colli e covoni, contadini e paesi. E l’occhio non è mai sazio e chiede ancora un quadro e ancora uno da vedere, per scoprire quel che la Valdorcia fu e poterla ritrovare in quel che è. Uguale a se stessa eppure tanto diversa. Perché diversi siamo noi. I nostri occhi che oggi formano il paesaggio corrotti dal brutto che ci circonda, mentre i suoi dipinti sono là a testimoniare la dolce intensità della bellezza. E questo infonde conforto.
Dopo aver sentito un valdorciano possiamo affermare che qui è la fonte della lingua. Romano Bilenchi scriveva che l’italiano più bello si parla in Valdorcia, isolata e pura da contaminazioni. Mi piace confermarlo, considerato che impiegherò tutta una vita ad usare parole esatte e antiche che usava comunemente mia nonna Lydia, che aveva fatto due volte la terza elementare (non ripetente ma brava e il maestro Carlo Sani se la tenne con sè per aiutare i bimbi più piccoli).
Dopo aver visto un dipinto di Monaci potremmo dire la stessa cosa per il paesaggio italiano. Scomparso altrove è conservato in queste tele, oggi restituite al godimento del visitatore. A Rocca d’Orcia, fino al 2 novembre, grazie all’azienda Podere Forte. Spazio SE (aperta dal giovedì alla domenica dalle 10.30 alle 18.30). Inaugurazione mercoledì 12 agosto, ore 18.00