Il catalogo dei libri dedicati alla gastronomia è ormai vasto e… ghiotto. Altri tempi, insomma, da quando (era il 1891) Pellegrino Artusi cercava un editore che pubblicasse la sua raccolta di 790 ricette intitolata La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene. Manuale pratico per le famiglie. Vani furono i tentativi di voler procacciare alla sua opera la dignità di un marchio editoriale, cosicché il grande chef di Forlimpopoli decise di stampare il manuale a suo spese. Il ricettario artusiano conquistò un crescente successo che a quel punto non sfuggì all’editore Bemporad, il quale, a seguire, ne pubblicherà molteplici edizioni.
Nel corso del tempo, cucina, letteratura e letterati hanno avuto infinite occasioni di incontro: giocose, libertine, colte, eleganti, popolari. Dal rinomato Pranzo di Babette (Karen Blixen) a quello di nozze descritto da Gustave Flaubert in Madame Bovary. Senza dimenticare gli asparagi e i gelati di Marcel Proust, la polenta di Carlo Goldoni, i piatti forti tanto graditi a Giacomo Casanova; e ancora il grande amore di D’Annunzio per il culatello di Parma, fino all’ode dedicata da Giuseppe Prezzolini alla bistecca alla fiorentina. Quanto allo stracotto, alla pasta con l’acciugata e alla pappa col pomodoro leggasi Il giornalino di Giamburrasca (Vamba). Addirittura attraverso le pagine inquiete di Federigo Tozzi (Con gli occhi chiusi) è possibile apprendere nei dettagli la primitiva ricetta dell’acquacotta. E’ invece dei giorni nostri il libro Afrodita. Racconti, ricette e altri afrodisiaci di Isabel Allende, con il quale (ma non è certo una novità) si intende gettare un ponte tra gola e lussuria.
Per non dire, inoltre, di tutta quella letteratura che del cibo ha approfondito gli aspetti sociali ed etno-antropologici. Gli studi di Mary Douglas sulle massaie inglesi e i loro piatti rispondenti a precise logiche culturali. Claude Lévi-Strauss che analizzando certi miti amerindiani ci ha rivelato le categorie universali del crudo, del cotto e del putrido. Le dinamiche sociali legate al cibo analizzate da Michel Foucault. Oppure Jack Goody che ha focalizzato la sua attenzione sui gusti e i saperi culinari quali mezzi attraverso cui rivendicare identità etniche e sociali.
Siamo sinceri. Oggi tutto il grande interesse riservato a cibo e gastronomia non prescinde da certe bulimie consumistiche e tic modaioli. Ma tant’è. Del resto proprio qualche tempo fa David Remnick, direttore del New Yorker, spiegando perché la rivista si occupi sistematicamente di arte culinaria, diceva: “Noi viaggiamo non soltanto con la nostra testa ma anche con lo stomaco”.