strage_viareggio_n.jpgE’ stata Chiara Rapaccini, l’ultima compagna del regista Mario Monicelli, a leggere ieri sera, al termine della cerimonia per il sesto anniversario della strage di Viareggio (Lucca), cosa scrisse il regista su quella tragica notte. Rapaccini, che ha disegnato la copertina del cortometraggio ‘Ovunque proteggi’ proiettato ieri sera, è salita sul palco e ha letto le riflessioni del suo ex compagno scritte nel 2010, anniversario del primo anno della strage. «Il Paese è allo sfascio, alla deriva e la strage di Viareggio esprime bene il declino dell’Italia. Quei trentadue morti sono lì a indicarci l’incuria, l’arroganza di chi governa. Siamo governati da una classe dirigente inetta, priva di un’adeguata cultura di governo, intenta solo ai propri tornaconti», diceva allora Monicelli.

«Strage metafora del malgoverno» «Mi chiedo ancora, ad un anno di distanza, come si possa far passare a quella velocità un treno con esplosivo senza avvisare del suo passaggio, senza precauzioni, senza prendersi cura della gente? E i treni-bomba continuano imperterriti a solcare le nostre città». Per il regista, che morì qualche mese dopo, il 29 novembre 2010, la strage fu «anche metafora del malgoverno delle ferrovie e del declino di un mezzo di locomozione che ha segnato lo sviluppo del Paese: il treno». Dopo aver ricordato la Viareggio della sua gioventù, Monicelli spiegava di aver firmato la petizione per chiedere l’allontanamento dell’allora amministratore delegato delle Ferrovie Mauro Moretti: «Ma le firme non sono valse a nulla. E’ ancora lì al suo posto. Lui come gli altri amministratori. Lui come i ministri competenti». Quindi chiedeva giustizia per le 32 vittime, anche se non si meravigliava che ancora non fosse emersa la verità: «L’Italia è il Paese delle verità nascoste e della giustizia negata» scriveva ancora il regista ricordando anche Ustica, e le immagini terrificanti della sua «amata Viareggio», convinto però che la città avrebbe saputo riprendersi: «Dal dolore e dalla tragedia può sbocciare il fiore della rinascita», concludeva Monicelli.