Era il 15 marzo del 2011 quando, per le strade di Damasco, sull’onda emotiva dei tumulti dell’Africa settentrionale, si alzavano le voci contro il regime di Bashar al Assad. Quello stesso giorno nella città meridionale di Dara’a le forze di sicurezza di Assad arrestarono 14 bambini, colpevoli di aver scritto su un muro gli slogan della primavera araba rivolgendoli al regime di Damasco. Alcuni bambini furono restituiti alle famiglie con evidenti segni di torture; altri non hanno mai più fatto ritorno a casa. La protesta si è svolta in modo pacifico per i primi otto mesi ma la sanguinosa repressione ha spinto la popolazione civile ad armarsi; molti militari hanno disertato, rifiutando di sparare e uccidere la propria gente e andando a costituire l’esercito siriano libero, la prima opposizione armata contro il regime. Col tempo gli scontri e le fazioni si sono moltiplicati, ai danni della popolazione civile. Il tutto sullo sfondo di un complesso e intrigato equilibrio geopolitico internazionale. A tre anni di distanza in Siria oggi si contano oltre 130mila vittime accertate, 2 milioni e mezzo di profughi e oltre 9 milioni di sfollati interni. Tra tanta gente che ha scelto di andarsene dalla guerra, dalla povertà e dal terrore, c’è invece chi ha scelto di tornare nella terra delle sue origini. Si tratta di Asmae Dachan, nata in Italia da genitori siriani ed oggi giornalista, fondatrice ed animatrice del blog www.diariodisiria.wordpress.com che ogni giorno racconta, grazie ai contatti con citizen reporter di diverse città della Siria proprio quella guerra, quella povertà e quel terrore che in molti hanno scelto di ignorare e in altrettanti, forse, hanno scelto di tacere. Ma la strada del silenzio non è stata quella intrapresa da Asmae Dachan che, lo scorso agosto, è anche partita per la Siria per raccontare il dramma con i suoi stessi occhi. Ogni giorno, passo dopo passo, continua a raccontare in rete con dovizia di particolari, spiccato senso critico ed un contagioso coinvolgimento, le storie e il volto della tragedia in atto.
Cosa ti ha spinto verso questa strada?
“Essere vicina al mio popolo, ai giovani che nel 2011 hanno animato le strade e le piazze della Siria chiedendo libertà e diritti umani è stato per me spontaneo. Non ho dovuto scegliere da che parte stare, mi ci sono trovata in modo naturale e un coinvolgimento pieno a sostenere quel desiderio di cambiamento che ha spinto i siriani a rompere il regime di coprifuoco che dura da quasi mezzo secolo. Come giornalista ho scelto di dar voce proprio a quei giovani che hanno trovato il coraggio di pronunciare la parola libertà e che, con i loro telefonini e una connessione ad internet, hanno iniziato a documentare le violenze e a condividere in rete foto, video e notizie che altrimenti non avremmo mai avuto, visto che l’informazione in Siria è sotto il pieno controllo del regime e che ai giornalisti stranieri “non graditi” vengono negati i visti. Tramite la rete si sono create delle vere e proprie redazioni; io sono bilingue e questo è fondamentale per attingere dalle fonti originali e intervistare anche via Skype gente del posto. I contatti sono quotidiani e a tre anni dall’inizio delle violenze il legame, oltre che professionale, diventa anche affettivo; ogni volta che uno di questi reporter perde la vita è un lutto, un dolore immenso. Molti sono stati uccisi mentre in mano stringevano una fotocamera o una videocamera, come Trad Sharky, strappato alla vita lo scorso 20 febbraio; diceva sempre che con la sua handycam avrebbe voluto sconfiggere il regime di assad. Questi ragazzi sono straordinari; il loro unico desiderio è di non consegnare il dramma siriano all’oblio. Il loro lavoro è stato, sin dall’inizio, di grandissima importanza: oggi tutto questo materiale costituisce un patrimonio di documenti che servirà a incriminare assad e tutti coloro che si sono macchiati di crimini contro l’umanità. Col mio impegno cerco di far arrivare la loro voce in Italia; è un lavoro fatto dal basso, che si scontra spesso con quello dei grandi media, che ancora continuano ad attingere le notizie sulla Siria solo da fonti del regime o da media stranieri, senza mai sentire la voce della gente