Ci sono cose che si possono fare ed altre che non si possono fare.
Questo in teoria, perché poi tra le cose consentite e quelle vietate ci stanno in mezzo le “forzature”.
Quante volte abbiamo sentito dire in questi due anni e qualche mese di Governo Renzi che “sì, è un po’ una forzatura, ma è a fin di bene”?
La forzatura è politica creativa, volitiva, qualcosa che non solo prima non c’era e adesso c’è, ma se tu prima l’avessi proposta ti avrebbero anche preso a male parole, e invece dal momento in cui la pratichi diventa possibile, di lì in poi e forse per sempre.
La forzatura ha alleati indomabili nell’emergenza e nell’eccezionalità, cosicché tutto diventa emergenza ed eccezionalità, e i confini dell’ammissibile si espandono all’orizzonte oltre il mondo conosciuto.
I suoi nemici vengono invece di solito costretti al silenzio con l’infamante accusa di essere dei formalisti-sofisti, una specie di animale mitologico metà gufo e metà caprone, iettatori e testoni.
La forzatura ha i suoi guardiani, sempre pronti, lancia in resta, a giustificarne di ogni sorta, con fare spicciolo come si addice all’Italia del fare che schiaccia quella del chiacchierare.
Qualcuno fa osservare che il Governo non deve occuparsi di riforme costituzionali perché spettano al Parlamento?
I guardiani scattanti gli rispondo che siamo un Paese che attende le riforme della Costituzione da anni (magari non settanta come qualcuno ha detto, ma tanti), e che per mandare a casa duecento senatori scansafatiche una forzatura ci sta.
Altri fanno presente che la fiducia sulla riforma elettorale non va messa?
I guardiani ribattono, senza porre tempo in mezzo, che pur di avere una legge elettorale che consenta di sapere la sera stessa dello spoglio (peccato non già la mattina) chi sia il vincitore, una forzatura vale la candela.
E così via, i guardiani tallonano stretto e rintuzzano ogni critica.
Tagliole e canguri che limitano il dibattito parlamentare; onorevoli rimossi dalle commissioni parlamentari perché non allineati; un referendum costituzionale chiesto, nonostante lo abbia già fatto un numero sufficiente di parlamentari, da un comitato che in realtà promuove la riforma e che, unico, ottiene anche le risorse dallo Stato; il Presidente del Consiglio che di fatto si mette alla testa dei comitati per il sì e che trasforma il voto referendario in un plebiscito su se stesso; lo stesso Presidente che pochi mesi fa invita i cittadini a disertare le urne in un referendum abrogativo; ministri della Repubblica che vanno nelle università a fare propaganda per il sì.
Tutte forzature giustificate a colpi di pragmatismo, quand’anche la giustificazione fosse, se altre non se ne trovano, un laconico “perché sì”.
Una forzatura in questa “italia del perché sì” alla fine va sempre messa in conto.
Perché la forzatura scioglie lacci e lacciuoli, è tutta pesi e niente contrappesi, è democrazia decidente.
Altro che partito della nazione, chiamiamolo “Forzatura Italia” e avanti tutta senza fare tanti sofismi.