Un tempo la politica era una scienza e come tale andava analizzata. A farla, per lo più, erano professionisti, poco veniva lasciato al caso. Poi, è venuto il tempo della rottamazione e allora tutti a casa: l’apparato, i funzionari, i professionisti. È rimasta la politica ma a farla, qualche volta, pare vi siano degli improvvisati apprendisti stregoni. E così il vento della “rottamazione” renziana è diventato rapidamente tempesta e poi bufera e oggi rischia di spazzare via tutto. La legittima voglia di cambiamento, infatti, non sembra avere un senso né una direzione. Senza entrare nella querelle sul patto di riforma elettorale tra Renzi e Berlusconi, mi domando ad esempio cosa sia tutta questa voglia di togliere potere al popolo.
La costituzionalista Lorenza Carlassare (che fu nel comitato dei saggi da cui si dimise nel luglio scorso) ha recentemente parlato di una politica che aspira «ad allentare in tutti i modi il peso del popolo, a farlo rimanere nell’ombra e a mettere tutti gli apparati, tutti gli organi, tutte le strutture in primissimo piano, quasi che tutto dovesse essere in funzione del potere e della sua conservazione».
E come esprime il popolo il proprio potere? Con il voto. Già, il voto. E allora è un bene o un male che, con la scusa del risparmio, venga tolto al popolo la possibilità di scegliersi i propri rappresentanti in un alveo ampio di proposte politiche? È un bene o un male che venga limitato il diritto di scegliersi i consiglieri comunali, sempre più ridotti in numero? Di scegliersi propri rappresentanti ai livelli provinciali, presto burocratizzati? Niente voto nemmeno per il Senato, dove però rimarranno gli oltre duemila addetti? Con la scusa dei costi della politica (che pure ci sono, ma non si vuole andare a scovarli) si va a tagliare gli unici legami diretti tra il Corpo elettorale (il popolo) e i suoi rappresentanti.
I Comuni. Una recente riforma ha ridotto il numero dei consiglieri comunali e dei possibili assessori in tutte le fasce degli ottomila comuni italiani. Davvero lo spreco di risorse pubbliche era nei bilanci di questi enti locali, che nel corso degli anni sono stati svuotati di risorse? Davvero il debito pubblico è stato causato da quegli assessori e sindaci che per pochi spiccioli e meno gloria si sobbarcano il peso di amministrare le loro comunità?
Poi, le Province. Dopo aver “bombardato” per anni l’opinione pubblica sulla inutilità di questi enti, si è provveduto a togliere al popolo il diritto di scelta dei rappresentanti. Ma le province non saranno abolite, perché intorno ad una organizzazione provinciale è costituito tutto lo Stato (Prefetture, Questure, Soprintendenze, Giustizia, Aci e tanto altro). E nessuno ha il coraggio di riformarlo. Dunque, più semplice eliminare i consigli provinciali e le giunte e che tutto resti tutto com’è. Con burocrati e nominati che continueranno a costare senza più nessun controllo, chapeau!
Per le Regioni il discorso si complica perché ognuna ha un proprio sistema elettorale. Ma per rimanere in Toscana siamo stati i primi a non poterci scegliere i rappresentanti. Il Porcellum infatti ebbe il suo progenitore nel 2005, proprio grazie ad un accordo tra gli allora Ds e Denis Verdini che formulò una legge elettorale schifosa con la quale rischiamo di andare al voto anche il prossimo anno. Oggi lo stesso Verdini per conto di Forza Italia tratta la riforma elettorale del Paese con Matteo Renzi. E la cosa non dovrebbe rassicurare.
Infuria poi la polemica sulle preferenze e si tenta di dire che inducono alla corruzione, come se finora il Paese a tutti i livelli fosse rappresentato da mammolette. Peraltro, circolano delle possibili circoscrizioni elettorali che sembrano studiate a tavolino da uomini del Catasto senza tenere in minimo rispetto i centri territoriali, le aree di influenza, in una parola, i territori.
Agli elettori non resterà così che scegliersi “liberamente” i candidati alle elezioni europee. Ma non quelli italiani, si badi bene, visto che saranno su circoscrizioni così ampie che il loro singolo voto potrà contare ben poco. Bensì i candidati alla presidenza della Commissione europea: Martin Schulz, Olli Rehn, Alexis Tsipras, Guy Verhofstadt e chissà chi altri. Facile no?
Insomma, il consigliere comunale che tutte le mattine possiamo incontrare sotto casa, al bar o a lavoro non ce lo potremo più scegliere ma il presidente della Commissione europea, quello sì.
Il popolo continuerà così (formalmente) ad avere il potere del voto, purché lo applichi il più lontano possibile. La democrazia è salva. Ma questi nuovi politici non sembrano affatto degli apprendisti stregoni, sono ottimi professionisti.
Ah, s'io fosse fuoco