«Mi ci sono voluti alcuni giorni per riprendermi, ma ora mi sento bene e sono riposata». Queste le parole della senese Elisabetta Lastri, che alla sua prima volta ha centrato un risultato straordinario arrivando seconda nella classifica femminile della maratona Ultra Trail di Corsica. 28 ore ininterrotte di fatica, 108,4 km di corsa, arrampicata, discesa, con dislivelli importanti.

Io, coach di me stessa Elisabetta Lastri ha 29 anni ed è una laureanda ingegneria con un lungo passato sportivo: dopo oltre venti anni di scherma al CUS, per motivi di tempo e di studio ha iniziato a fare arrampicate. Durante un periodo di tirocinio in Germania ha visto la maratona di Berlino e ha cominciato a correre. «Mi alleno da una a tre ore, ma non mi impegno più di 4 volte alla settimana». Si definisce la coach di se stessa: tuttavia la sua «ingegneria della maratona» ha avuto come elementi portanti le persone che hanno elaborato il suo programma di allenamenti e il dottor Vincenzo Tota, medico sportivo di Formula Uno.

Di corsa in nome dell’amicizia La storia dell’affermazione di Elisabetta Lastri, una ragazza dell’Istrice che fino a poco tempo fa si era limitata a fare il Cross dei Rioni e la Siena-Montalcino, è anche una storia di amicizia con varie sfaccettature: amicizia umana – quella con Barbara Burnengo – che nel momento più difficile della maratona, quello in cui sei a un passo dal mollare tutto, ha indirizzato i passi di Elisabetta incoraggiandola ad andare avanti, a mettere un piede dopo l’altro, a stare nella consapevolezza del presente. Amicizia con gli animali: quando la stagione e il tipo di allenamento lo permettono Elisabetta corre con i suoi cani, due pastori australiani. Uno dei suoi amici a quattro zampe, Camicha, il pastore tedesco compagno di tanti allenamenti, è morto il giorno prima della gara: lei se lo è portato dentro, correndo con il dolore della perdita e la tenerezza dei ricordi.

“Lo Spazzacamino” in sottofondo Cosa si prova, cosa si pensa in 28 ore di corsa? «C’è l’emozione di stare dentro a paesaggi magnifici – dichiara – : selle, creste rocciose, laghi, un pizzico di neve, valli verdissime, torrenti. Quello che ho visto è bellissimo. Si può vedere anche in altri modi, ma inserirlo in una gara dà una marcia in più, una compagnia in più. E di notte c’era la luna, una luna enorme. Da quanta luce faceva, sembrava essere una persona che ti accompagnava, che ti guardava correre e che correva con te, dentro di te. Sono arrivata al traguardo accompagnata dalla luna. Sapevo già di essere arrivata seconda, con lei che mi faceva l’occhiolino. Correre per 28 ore, senza dormire, crea un flusso di pensieri e di coscienza. Hai la possibilità di pensare, di avere tempo per te stessa. Si pensa di tutto, la mente salta da un punto a un altro: da quello che c’è da fare la settimana successiva, alla famiglia ai progetti. Ogni tanto si canticchia pure. tornava sempre alla mente lo Spazzacamino. E poi ci sono i compagni di corsa, quelli che incontri per pochi minuti o per qualche secondo: c’è una sorta di solidarietà, siamo tutti insieme a soffrire per lo stesso motivo. Una parola di incoraggiamento si dà e si riceve da tutti. Ogni 20 km c’è un ristoro, per fornirsi di acqua o per mangiare. Le persone che si trovano qui incoraggiano, fanno il tifo. Il servizio è fatto con gioia e si ricevono applausi a qualsiasi ora del giorno e della notte. Di notte ci sono momenti preziosi di assoluto silenzio e solitudine, mentre in un’altra valle, magari, vedi luci e fuochi di artificio».

«La strategia è quella di pensare di passo in passo» Il momento più difficile per Elisabetta Lastri è arrivato a Grotelle, verso l’ottantesimo chilometro. «Ero veramente stanca: quella distanza non l’avevo mai fatta, inoltre avevo esagerato nei primi chilometri, facendo l’ascensione più veloce alla prima salita. Una ragazza mi stava raggiungendo e avevo ancora una grossa salita, molta altra strada da fare. La strategia è stata quella di pensare di passo in passo, di piccola distanza in piccola distanza, di ristoro in ristoro, di 20 chilometri in 20 chilometri. Grotelle era il penultimo ristoro e la tentazione di fermarsi era forte. A quel punto ho pensato: ‘arriviamo al ristoro successivo’. Dopo era tutta discesa. Iniziata la discesa ho cominciato a pensare che mancava sempre meno e così sono riuscita a portare in fondo la gara. La prima cosa fatta all’arrivo? Mi sono seduta, ho mangiato due fette di salame, ho chiacchierato e ringraziato i ragazzi dell’organizzazione erano circa 3.30 di notte, sono andata a casa a dormire, con la consapevolezza di aver fatto qualcosa di bello e di importante per me».

«Ingegneria civile la mia maratona più tosta» Elisabetta dice di essersi portata a casa prima di tutto la consapevolezza di quanto sono lunghe queste gare e un altro bel ricordo della Corsica, che ha frequentato diverse volte negli anni per aver fatto l’istruttore di vela. Un’isola vista da un punto di vista diverso, quello della montagna, dell’interno. Inoltre per lei c’è la soddisfazione di aver provato, di aver scoperto uno sport che la appassiona, di aver avuto un risultato molto superiore alle aspettative e di avere la voglia di ripetere l’esperienza, non prima di qualche mese. Il tratto saliente di Elisabetta Lastri è la perseveranza, che porta nello studio – «ingegneria civile è una maratona infinita, fatta di tanta pazienza e di tanta volontà. Quando la concluderò sarà la maratona più tosta che abbia mai fatto» – accompagnata da una riservatezza che la rende quasi schiva e che le rende difficile dare una definizione di se stessa, ma che non è priva di un pizzico di ironia: «ho la caratteristica di venire terribilmente male in foto: sono il divertimento dei miei amici». Elisabetta Lastri chiude il suo racconto con uno dei momenti più belli della gara: «arrivati in cima a una montagna, dopo la salita che portava a Bocca Crucetta, mi sono trovata nel punto più alto, a circa 2500 metri. Da lì si vedeva un paesaggio incredibile: laghi con ancora un po’ di neve, montagna e laggiù in fondo, il mare: un momento bello, la fine di fatica estrema e un paesaggio magnifico. È valsa la pena fare la Ultra Trail, impegnarsi in oltre 100 chilometri, solo per arrivare fin lì».