Presidio e poi incontro all’interno di Palazzo Sacrati Strozzi oggi a Firenze per un gruppo di ormai ex lavoratori della fabbrica Pulzeta di Calenzano ma stavolta vi è di piu’ che una semplice rivendicazione dei propri diritti. Infatti gli ex dipendenti di una delle aziende che maggiormente è legata alla creazione di oggettistica di moda accusato proprio i proprietari cinesi della Pulzeta di discriminazione nei loro confronti per l’etnia che rappresentano, quella senegalese.
La Fiom: «Rispettare i diritti fondamentali» A fronte della mancata conferma dei propri contratti di lavoro a tempo determinato, sono stati confermati i rapporti con lavoratori cinesi e di altri paesi africani, e quelli a cui non è stato prolungato il contratto sono tutti senegalesi. Ad appoggiare e supportare gli ex dipendenti della Pulzeta, che non risulta abbia perso commesse di lavoro o sia in declino di entrate dal punto di vista economico, la Fiom di Firenze con in testa il proprio segretario, Daniele Calosi. «Questi ragazzi hanno avuto un unico difetto per il loro datore di lavoro, essersi organizzati per indicare i loro diritti fondamentali, di essere per esempio pagati quando viene fatta un’operazione straordinaria – ha spiegato Calosi a margine dell’incontro avuto oggi con il consigliere delegato ai temi del lavoro del governatore Enrico Rossi, Gianfranco Simoncini – Secondo me, dietro a questo c’è una punta di un iceberg che nasconde in realtà anche nella nostra provincia e nella nostra regione quanto importante sia produrre con eticità e il rispetto delle persone che per vivere devono lavorare. Basta pensare che questa è un’azienda dove lavorano 120 persone, di varie etnie, di italiani ce ne sono pochissimi. I ragazzi che sono con noi sono del Senegal che hanno avuto il coraggio, ma anche la forza di organizzare per rivendicare i loro diritti, ma dentro quell’azienda ce ne sono altri 120, che sono cinesi, eritrei, somali, le cui condizioni di lavoro al di là di quello che può apparire non le sappiamo, perché tutte le volte che abbiamo provato a fare le assemblee abbiamo notato una certa difficoltà a intercettare questi lavoratori. Per noi non è importante fare gli iscritti al sindacato, per noi è importante che una regione importante come la Toscana che alle persone che per vivere devono lavorare, al di là del colore della pelle, siano rispettati i diritti fondamentali e lavorino in condizioni di sicurezza, cosa che mi pare che dai racconti che ci hanno fatto questi ragazzi in quell’azienda non corrisponde».
«Chiederemo conto alla Regione di farsi carico nei confronti del marchio»«L’incontro di oggi in Regione è importante, perché abbiamo chiesto il coinvolgimento del console onorario di Firenze, che arriverà fra poco, c’è un impegno ad avvertire direttamente l’ambasciatore a Roma, da parte del console sulla vicenda – ha aggiunto Calosi – . Dietro questo c’è l’alta moda, i grandi marchi che mi auguro che non siano a conoscenza di quello che avviene nella loro filiera, ma nella filiera produttiva avviene che spesso, come siamo qui a verificare, non vengono tutelate le persone che ci lavorano. Quindi, visto che la Regione Toscana ha un protocollo sull’eticità per la filiera produttiva del settore della moda chiederemo conto dell’applicazione rigida per garantire a queste persone di essere rispettate. L’ultima cosa, è che queste persone non hanno più un lavoro. Non sono state licenziate, al termine del contratto non sono state confermate e, quindi, adesso avranno diritto a un ammortizzatore sociale ma non sappiamo che fine faranno. Tutti hanno paura dell’immigrazione, hanno paura di quegli che vengono dall’estero, che ci portano via il lavoro. Queste erano persone che lavoravano regolarmente. Se non lavorano regolari, come fanno a vivere? Cosa spetta a queste persone? In ragione di ciò deve essere garantito loro il posto di lavoro e chiederemo conto alla Regione di farsi carico nei confronti del marchio della moda, delle aziende che lavorano in appalto, dei posti di lavoro di queste persone». Le accusa di Calosi sono dirette ai proprietari della Pulzeta. «L’azienda è di proprietà di un cinese, che a quello che ci risulta non parla nemmeno italiano, noi abbiamo fatto più volte coi funzionari della Fiom presenti sulla zona di Sesto richiesta di assemblea, che ci è stata concessa anche perché ci spetta per contratto, ma non si è presentato nessuno e non abbiamo parlato con nessuno dell’azienda – ha concluso il segretario fiorentino della Fiom- A noi non interessa parlare solo con questa azienda, ma con tutto il sistema della filiera che interessa i lavoratori del settore della moda, in particolare modo i lavoratori metalmeccanici che fanno lavori pesanti. Fare il pulimentatore in un’azienda di oggetti metallici, significa stare per ore piegati su una vasca e pulire il metallo ed è particolarmente pesante che deve corrispondere a certe esigenze di sicurezza che noi non abbiamo verificato. Abbiamo notizie che l’ispettorato del lavoro è andato a verificare e chiederemo quello che hanno trovato, sta di fatto che ha svolto un suo ruolo egregio, non vorremmo che la situazione di questi 15 ragazzi e degli altri 120 che lì ci lavorano sia solo la punta di un iceberg. E di questo siamo preoccupati».