“Tanto, non si confonda, la vita è tutta un indovinello”, sentenziò la signora prendendo congedo dalla sua omologa sgonnellante in mezzo a un ingorgo di carrelli da spesa. Era stato un duello all’ultimo sospiro. Si erano raccontate reciproche disgrazie e scoramenti, finché con quella conclusione sospesa tra l’abisso dell’inconosciuto e il banco dei surgelati le due tipe giunsero ai saluti. Ormai, anch’esse, sciarade deambulanti, mentre, tutt’intorno, i fasti alimentari del supermercato ribadivano, se non altro, come la vita sia in buona misura sussistenza.
Difficile controbattere l’assertiva casalinga (non più e soltanto di Voghera) circa il fatto di quanto enigmatica sia la vita, che in effetti ‘parla doppio’, è ambigua. Delle sue ragioni propone sempre un bisenso. E noi da essa ci troviamo ridotti a indovinelli, dunque ‘soggetti apparenti’ e fuorvianti dietro cui il Grande Enigmista nasconde, chissà, quale ‘soggetto reale’. Non sarà un caso se l’indovinello ritenuto più antico, posto a Edipo dalla Sfinge, aveva come risposta proprio l’uomo: “Qual è l’animale che al mattino avanza con quattro zampe, a mezzodì procede con due e quand’è sera cammina con tre?”. Tali infatti sono le posture dell’essere umano che da piccolo si sposta gattonando, in età matura su due gambe e da vecchio con l’ausilio del bastone. Bravo fu Edipo nella soluzione, al punto che la Sfinge fu costretta ad ammazzarsi. Leggenda vuole che altrettanto perspicace non sia stato Omero, morto dalla vergogna per non essere riuscito a risolvere un rompicapo formulato dai pescatori di Ios. Gli indovinelli, insomma, possono arrivare ad avvilirci, soprattutto quelli che la vita pone come insensati. I maestri zen ne hanno un ampio repertorio da affidare agli allievi che magari sono invitati a riflettere su quale suono faccia un applauso a una mano sola.
Ricorderete, in proposito, come anche verso la fine del film La vita è bella, l’ottenebrato e paradossale dottor Lessing sia ossessionato da un indovinello insoluto, ovvero da lui stesso che in quella scena surreale impersona la folle, inspiegabile vicenda della Shoa.
Tutto questo per dire che il gioco enigmistico allude, talvolta, a un esercizio ben più serio: saper svelare le parole nella loro ‘verità’. C’è, del resto, una “sovranità delle parole con le quali l’enigma innalza scene mute” (lo scrisse Michel Foucault parlando di Raymond Roussel), c’è una sovrapposizione del visibile e del nascosto, della superficie e della profondità. Ebbene, questo gioco siamo noi. Noi l’indovinello, noi la soluzione.