L’immigrazione ha rappresentato la scintilla, il turbo nel motore delle destre di tutto il mondo in una società calpestata dalla mercificazione globalizzata, inebetita dalla dura legge dei social e fiaccata da diseguaglianze sempre più profonde, con la tradizionale classe media, o borghesia per dirla un po’ retrò, in via di estinzione e nei libri di storia.
E’ vero. In mezzo ci sono stati gli scandali delle cooperative ed una mala gestione diffusa del fenomeno che certo hanno contribuito, e non poco, ad irrigidire le posizioni ed a diffondere una cultura dell’intolleranza che ha permeato ben presto gran parte dell’opinione pubblica e della società civile e che certo non ha accresciuto la considerazione che gli altri Stati europei hanno nei nostri riguardi.
Già l’Europa. Una concausa di questo problema, l’emblema di istituzioni totalmente sconnesse dalla realtà di tutti i giorni ed umane e comprensive soltanto a parole, incapaci di imporre principi di cooperazione e di collaborazione reciproca ed in balia degli egoismi nazionali per poi tornare a vestire i panni dell’uomo forte quando si parla di spread o di austerity. Ci sono due Europe, purtroppo: quella melliflua e sfuggente nei confronti di Orban e quella schiacciasassi ai danni del popolo greco.
Ed allora se Riace probabilmente non rappresentava il modello perfetto e se l’accoglienza soltanto a parole o ancor peggio rifiutata non è stata appannaggio soltanto dei sindaci leghisti ma piuttosto bipartisan e da nord a sud, il modello SPRAR e l’accoglienza diffusa ed a piccoli gruppi costituivano forse l’unica intuizione felice e strutturata di questi anni drammatici.
Perché non serviva scomodare Riace o portare Lampedusa da Obama per scoprire nel nostro Paese realtà, spesso piccole o piccolissime, dove l’integrazione è realtà e la convivenza è fotografata all’interno di scuole multietniche dove bambini di diverse nazionalità e religioni dimostrano che forse del buono c’è stato e c’è anche in tutto questo.
E’ evidente che l’immigrazione abbia costituito e costituisca un problema sociale rilevante; è pacifico come periferie metropolitane già abbandonate e dimenticate e divenute ancor di più luoghi di confine del disagio si siano tramutate in polveriere, in teatri di guerre tra poveri. Così come è palese, che una volta di più, il nostro sistema burocratico abbia trasformato in una giungla ed in un cammino interminabile l’iter per le richieste di asilo condannando, sine die, persone nell’oblio dell’incertezza, senza diritti e senza soprattutto doveri.
E certo non hanno aiutato i muri od i fili spinati innalzati da alcuni paesi oppure le incursioni in territori altrui per rispedire persone, alla stregua di merci delle quali disfarsi. Così come non ci hanno indignati abbastanza né scossi, se non per la durata di un servizio in tv, le morti in mare, le giovani vite spezzate nei barconi della morte oppure i lager libici finanziati dai soldi europei.
Vi è la convinzione, che serpeggia nella nostra società, di un piano strategico per indebolire il nostro Paese, per renderlo l’unico approdo, per lasciarlo, da solo, ad occuparsi di un fenomeno di portata mondiale. Sono un sinistro indizio di ciò i miliardi ad Erdogan per controllare la rotta siriana, i muri che gli stati dell’Est Europa hanno innalzato dinanzi all’inerzia ed all’impotenza dell’Unione Europea o ancora il Regolamento di Dublino. Noi però c’eravamo, seduti ai tavoli nei quali si decidevano e si imponevano questo scelte.
E questo perché, come spesso accade, nel nostro paese non si riesce ad andare al fondo dei problemi, a condurre un’analisi seria e strutturata, ad approfondire realmente le tematiche. Nel nostro Paese si deve necessariamente ragionare sull’oggi, incapaci come siamo di visioni di prospettiva, in quanto poco produttive di consensi elettorali.
Sul tema immigrazione si è portata avanti da ogni lato la si guardi una propaganda spicciola dove da una parte si incitavano le ruspe e le espulsioni, senza la benché minima idea di come realizzarle, e dall’altra non si riusciva a governare il fenomeno, a stabilire regole serie e definite, a supportare le realtà più critiche, ad imporre un modello, lasciando che anche gli esempi virtuosi, come sempre sorti dal basso e spesso in piccole realtà, venissero spazzati via dagli scandali e dal malaffare.
Ed eccoci, dunque, a colpi di twitter ed a ritmo di selfie al decreto sicurezza, alla trasposizione normativa della ormai celebre ruspa.
Ed ecco che finalmente chi si fermerà al titolo, allo slogan, al tweet o alla foto su Instagram gioirà soddisfatto e celebrerà la fine dell’invasione e la sicurezza ristabilita unitamente alle nostre città ripulite. Affinchè la gioia non sia flebile e della durata di un selfie è però essenziale fermarsi al titolo.
Poiché se si decidesse di volerne sapere di più si scoprirebbe che si gioisce per espulsioni impossibili in quanto non abbiamo i soldi per realizzarle e soprattutto uno straccio di accordo con i paesi di provenienza, che ci si strappano le vesti per la cancellazione, di fatto, del sistema SPRAR senza una reale soluzione per tutti coloro i quali, già su suolo italiano o che arriveranno, ne saranno esclusi con la mancanza di una concreta alternativa e, con il rischio vero, di una proliferazione della clandestinità e di fantasmi in giro per la nostra Nazione. E quei centri di espulsione, emblema del nuovo modello in campo, si tradurranno in sterminate sacche di disperazione e rabbia ed in produttori di decreti di espulsioni consegnati brevi manu all’immigrato da cacciar via, inattuati ed inattuabili. Senza dimenticarci, poi, che questi enormi centri torneranno a solleticare gli appetiti, mai sopiti, dei signori dell’immigrazione in una corsa sfrenata al profitto.
Ma poco importa. Basterà soffermarsi sul titolo o ad ammirare una foto e la pancia sarà riempita, la sete sedata e gli istinti più reconditi domati. E la dittatura dell’oggi continuerà ad imperare.