In Toscana «ad oggi si stimano circa 30mila casi di epatite C suscettibili di trattamento». A dirlo è Andrea De Luca, direttore malattie infettive e Scuola di specializzazione in Malattie infettive e tropicali dell’Università di Siena. Il dato è emerso durante il primo di una serie di incontri per la lotta alla patologia tra specialisti epatologi e infettivologi. Gli incontri, avviati oggi a Siena e che proseguiranno il 23 marzo a Venezia, mercoledì 28 a Roma, mercoledì 4 aprile a Palermo, sono promossi dalla multinazionale del settore biofarmaceutico Abbvie che ha lanciato il farmaco Maviret grazie al quale è possibile curare l’infezione da epatite C (HCV) in 8 settimane. Il farmaco, a carico del sistema sanitario nazionale, si compone di due nuovi antivirali ad azione diretta che agiscono, inibendole, sulle proteine essenziali per la replicazione del virus dell’epatite C. Il trattamento, spiega una nota Abbvie, è particolarmente indicato per i pazienti non cirrotici e che non hanno ricevuto in precedenza trattamenti anti epatite C che rappresentano la maggior parte dei 71 milioni di persone che in tutto il mondo convivono con la malattia. In Italia sono 300mila le persone colpite dall’infezione.
In Toscana nel 2018 trattati 6mila pazienti «Circa mille pazienti muoiono ogni anno per cause epatiche e l’HCV è causa o cofattore di circa il 60% di queste» ha aggiunto De Luca sottolineando che «nel 2018 verranno trattati in Toscana circa 6mila pazienti» anche nei 21 centri pubblici di Malattie Infettive e/o di Epatologia presenti in regione e altamente specializzati nella cura delle malattie del fegato. «E’ verosimile che ci sarà una progressiva emersione dei casi sommersi» ha spiegato De Luca. Il problema, infatti, «è far emergere i pazienti infetti che o non lo sanno o che lo sanno ma lo hanno dimenticato in quanto in passato con il vecchio approccio i trattamenti erano poco efficaci e molto tossici e non valeva la pena trattare le forme lievi o medie» della malattia ha concluso.
In Italia malattia «non in espansione» L’introduzione di questo trattamento «è un salto di qualità in termini di ottimizzazione dell’organizzazione di un trattamento e di offerta al paziente a cui viene data la certezza dell’assoluta guarigione» ha spiegato Maurizia Rossana Brunetto, direttore UO Epatologia-Centro di Riferimento Regionale per la diagnosi e il trattamento delle epatopatie croniche e del tumore di fegato e professore straordinario Medicina Interna all’Università di Pisa. «Attualmente in Italia l’infezione da epatite C non è in espansione, il vaccino potrebbe essere un’aggiunta ma non è sentito come necessario per l’enorme potenza delle terapie» ha aggiunto Brunetto che a proposito della mancanza di un vaccino ha precisato: «E’ complicato scoprirlo perché il virus è molto variabile».
In tre anni 80mila pazienti da trattare L’epatite cronica da virus C è una malattia che, in virtù della sua cronicità, provoca un processo che va spontaneamente avanti nel tempo fino a compromettere strutturalmente e funzionalmente il fegato. Negli ultimi tre anni è profondamente mutato lo scenario della terapia e, con la disponibilità dei nuovi farmaci ad azione antivirale diretta, è oggi possibile curare la maggior parte dei pazienti a prescindere dallo stadio della malattia” si legge in una nota Abbvie che sottolinea come, ad oggi sono stati trattati in totale 122.090 pazienti. In particolare il ritmo di arruolamento dei pazienti, che a livello nazionale è stimato in 80mila l’anno per 3 anni, è così suddiviso: da gennaio 2017 a fine marzo 2017 sono stati trattati circa 7.337 pazienti; da marzo a dicembre 2017 sono stati trattati 39.959 pazienti; da gennaio 2018 al 5 marzo 2018 sono stati trattati 12.662 nuovi pazienti.