di Valerio Lattanzi*
Valerio Lattanzi, astrofisico italiano, al Max Planck Institute for Extraterrestrial Physics di Garching bei München (Monaco di Baviera), spiega per agenziaimpress.it perché è importante la recente scoperta delle onde gravitazionali previste da Einstein. E in che modo è stato coinvolto il centro di ricerca toscano di Cascina (Pisa).
Cosa è successo? – Il 14 settembre 2015, alle 09:50:45, orario di Greenwich, gli strumenti dell’esperimento LIGO, Laser Interferometer Gravitational-Wave Observatory (Osservatorio ad Interferometria Laser per le Onde Gravitazionali), hanno rilevato per la prima volta nella storia dell’umanità un segnale prodotto da onde gravitazionali. L’esperimento LIGO è composto di due “esperimenti gemelli”, uno situato sulla costa ovest degli Stati Uniti ad Hanford (stato di Washington), l’altro sul golfo del Messico a Livingston, in Louisiana.
Ci dobbiamo credere? – Non sempre i risultati sbandierati in fretta e furia si sono poi dimostrati concreti quando sono stati sottoposti ad una più attenta revisione scientifica (si pensi al caso dei “neutrini più veloci della luce” o all’esperimento BICEP sulla polarizzazione del fondo cosmico). Nel caso presente, fortunatamente ci sono molteplici indicazioni a favore della validità delle conclusioni riportate nel lavoro:
- Nel caso dell’evento (del 14 settembre 2015) il segnale, come previsto, è stato osservato da due esperimenti indipendenti, prima dai rilevatori di Hanford e ca. 7 millesimi di secondo dopo dal suo gemello in Lousiana. Tale differenza è dovuta al tempo di percorrenza dell’onda, che viaggia ad una velocità finita (quella della luce) tra i due siti.
- I segnali osservati dai due esperimenti gemelli sono sovrapponibili tra di loro, nel limite delle incertezze sperimentali.
- Simulazioni numeriche per un tale fenomeno, basate su equazioni robuste e già lungamente testate, predicono proprio un segnale come quello rilevato.
- Il lavoro è stato sottoposto a “peer-review” (revisione del manoscritto scientifico da parte di ricercatori e professori anonimi esperti del settore) e accettato per la pubblicazione prima della conferenza stampa mondiale indetta l’11 Febbraio 2016.
Ma cosa sono le onde gravitazionali? – Esattamente 100 anni fa, un anno dopo aver pubblicato il lavoro sulla relatività generale, Albert Einstein (sì, sempre lui) predisse l’esistenza delle onde gravitazionali. La modellizzazione formalmente corretta del fenomeno prevede l’utilizzo di una matematica particolarmente complessa, basata sul calcolo tensoriale applicato alla fisica gravitazionale partendo dall’equivalenza tra massa ed energia, formulata qualche anno prima (1905) nel lavoro sulla relatività speciale (detta anche relatività ristretta). Proviamo a renderlo un po’ più semplice: il tessuto dell’Universo è lo spazio-tempo, in cui le tre dimensioni spaziali sono affiancate da una quarta dimensione che è il tempo. Un’onda gravitazionale è un’increspatura (i fisici la definiscono una perturbazione) dello spazio-tempo, che viene generata da qualsiasi corpo dotato di una massa fisica, anche da noi stessi. Di solito i fisici per spiegare la perturbazione creata allo spazio-tempo da un corpo suggeriscono questa similitudine: immaginate che lo spazio-tempo sia un grande lenzuolo steso. Se appoggiamo un oggetto con massa sulla sua superficie, come per esempio una palla da bowling, questa farà abbassare e deformare il lenzuolo, creando una specie di cono. Questo è ciò che avviene nell’Universo: ogni oggetto dotato di massa crea una perturbazione nel tessuto universale e tale deformazione è tanto più grande quanto maggiore è la massa del corpo.
Se ora immaginiamo di lanciare una biglia vicina alla palla da bowling noteremo che la pallina non si muoverà in linea retta, bensì inizierà a girare intorno alla palla seguendo delle traiettorie circolari lungo il cono delle deformazione. Se ora sostituiamo in questa immagine la palla con una stella – oggetto molto massiccio -, e la biglia con un pianeta – oggetto dotato di massa molto minore del precedente -, capiremo che il motivo per cui i corpi celesti orbitano intorno ad altri corpi più massicci è la perturbazione, curvatura, dello spazio. Ragionando ancora in termini di massa, tutti i corpi creano increspature nel tessuto dello spazio-tempo e quindi onde gravitazionali, ma solo gli oggetti estremamente massicci generano delle onde potenzialmente rilevabili da Terra. Tra gli oggetti più massicci nell’Universo ci sono sicuramente i buchi neri, corpi celesti dotati di una grandissima massa (anche miliardi di volte quella del Sole) racchiusa in un volume estremamente limitato (circa quello della Terra). Tra i più interessanti fenomeni astronomici che coinvolgono i buchi neri c’è sicuramente il caso di un sistema binario (due buchi neri) che collidono. In questo caso i due buchi neri creano una struttura enormemente massiccia che sotto forma di onde gravitazionali, rilascia una quantità enorme di energia. Questo è proprio il caso dell’evento registrato dall’esperimento LIGO.
Come funziona l’esperimento? – Malgrado i fenomeni in gioco siano giganteschi, con energie (e quindi masse) difficilmente immaginabili, la ricerca delle onde gravitazionali prodotte dal collasso di un sistema binario come quello appena descritto è estremamente complicato. Per avere un’idea grossolana del problema possiamo pensarlo così: immaginate di dover discernere lo spessore di un capello su una distanza tra la Terra e la prima stella oltre il Sole (per la cronaca si tratta di Alpha Centauri, distante 4.37 anni luce, circa 40 mila miliardi di chilometri). Oppure così: sarebbe come valutare se una rotaia lunga mille miliardi di miliardi di metri si sia accorciata o allungata di 5 millimetri. Per raggiungere un tale livello di precisione sono stati costruiti degli interferometri di Michelson modificati (strumento utilizzato nel 1887 da Michelson e Morley per misurare la velocità della luce): si tratta di due grandi tunnel vuoti, che formano una “L”, in cui ciascun braccio è lungo 4 chilometri. A ogni estremità dei bracci ci sono degli specchi sospesi e dalla misura del tempo impiegato dalla luce di un laser per percorrere il tunnel si può rilevare un eventuale spostamento degli specchi stessi causato dalle onde gravitazionali (ovvero da una minuscola increspatura dello spazio-tempo che propagandosi è arrivata ad investire il nostro pianeta). Capire se il segnale registrato provenga effettivamente da una sorgente astronomica lontana e non sia semplicemente causata dal rumore di fondo o da interferenze di altra natura è ciò che finora ha fatto la differenza: i primi esperimenti sulla ricerca di onde gravitazionali risalgono agli anni sessanta, ma finora nessun strumento aveva raggiunto la sensibilità e la pulizia di segnale per rivelare un segnale così tenue. Il progetto LIGO fa parte da qualche anno di un consorzio di tre esperimenti, un tempo indipendenti, che hanno unito le forze qualche anno fa per cercare di ottimizzare le risorse nella ricerca di un Graal, che per molti altri scienziati era senza speranza. Simile in struttura e sensibilità è l’esperimento VIRGO a Cascina (PI): sfortunatamente il 14 settembre 2015 i rivelatori dell’esperimento italiano erano spenti perché in fase di aggiornamento, e non hanno potuto registrare il segnale come hanno fatto i colleghi statunitensi. Il consorzio comprende anche l’esperimento GEO 600 in Germania che però non ha la sensibilità per rilevare un segnale debole come quello riportato da LIGO. Tutti gli scienziati del consorzio hanno però contribuito all’elaborazione e al controllo dei dati pubblicati.
Perchè ci deve interessare? – Questa è sempre la domanda più ostica a cui dare una risposta, specialmente quando si parla di ricerca di base, come lo studio di onde gravitazionali. Partiamo con una risposta “da scienziati”. Grazie alla qualità del segnale registrato e confrontandolo con i modelli, derivanti dalle equazioni di Einstein, i ricercatori sono stati in grado di individuare tra le possibili cause di tali onde gravitazionali, quelle provenienti da un sistema binario di buchi neri. Questa è la prima volta che un tale sistema, finora solamente predetto dai modelli, viene realmente osservato. Queste misure hanno anche permesso di avere una stima precisa della massa dei due buchi neri (rispettivamente 36 e 29 volte la massa solare in 150 chilometri di diametro) e la loro distanza rispetto alla Terra (1.3 miliardi di anni luce di anni fa).
Proseguiamo con una risposta sul medio termine: per la prima volta nella storia dell’umanità siamo stati in gradi di “osservare” l’Universo utilizzando delle informazioni complementari a quelle a cui siamo stati abituati per secoli. Per secoli, infatti, abbiamo studiato il cosmo sfruttando lo spettro elettromagnetico, prima nelle sue componenti visibili (ottiche direbbero gli scienziati), e poi aggiungendo, solo nell’ultimo secolo e mezzo, informazioni proveniente dalle onde radio, infrarosse, ultraviolette, X e Gamma. Ogni volta che abbiamo aggiunto uno di questi “occhi” per guardare l’Universo abbiamo scoperto delle cose impensabili poco prima e la nostra conoscenza e comprensione ha fatto dei salti da gigante. Ora, per la prima volta, possiamo indagare il nostro cosmo con altri strumenti e “sentire” regioni e oggetti finora completamente oscuri, che daranno sicuramente delle informazioni che al momento possiamo solo immaginare.
Finiamo con una risposta “pratica”, ovvero: se non ci basta guardare solo il bello della ricerca scientifica e apprezzare l’avanzamento di conoscenza che con essa deriva, ma vogliamo guardare i “soldoni” (“alla fine io pago le tasse e voi scienziati con questi soldi cosa ci fate?”), ogni “occhio” supplementare che abbiamo progettato, costruito e aggiunto alla nostra vista dello spazio è stato reso possibile grazie alla ricerca di base e all’avanzamento tecnologico che essa porta con sé. La costruzione di telescopi, satelliti, esperimenti che gli scienziati giornalmente utilizzano, prevede uno sviluppo della tecnologia che in tempi medio-lunghi si ripercuote sull’uso quotidiano: pensiamo alla miniaturizzazione resa possibile grazie agli sviluppi dei transistor, allo sviluppo dei laser, oramai utilizzati nei settori più disparati della vita umana, alla risonanza magnetica nucleare, valsa più di un premio Nobel per la fisica, allo sviluppo di nuovi materiali, utilizzati in seguito dall’abbigliamento alle costruzioni. E questo solo per citare pochissimi esempi: se vogliamo una applicazione concreta della ricerca di base (ammessa che sia necessario) proviamo a non pensarla come fine a se stessa, quanto piuttosto all’indotto che essa trascina e alimenta, spingendo lo sviluppo della tecnologia sempre all’estremo.
*Laureato in Fisica all’Università Sapienza di Roma, dottorato in Astrofisica a Tolosa (Francia). Ricercatore post-dottorato al Center for Astrophysics della Harvard University (Cambridge – USA) e all’Osservatorio di Parigi. Dopo una breve esperienza all’Università di Bologna, dal 2014 ricercatore al Max Planck di Garching (Germania).