Anche i cani provano empatia. Lo dimostra uno studio condotto da un gruppo di ricercatori dell’Università di Pisa secondo cui il “contagio emotivo” non è una prerogativa esclusiva dell’uomo o delle scimmie antropomorfe, ma anche i cani sperimentano una reazione involontaria, automatica e rapidissima (richiede meno di un secondo) alla mimica facciale dei propri simili, tanto più se hanno di fronte un “amico”.
La ricerca La ricerca, condotta dagli etologi Elisabetta Palagi, Velia Nicotra e Giada Cordoni, spiega l’ateneo, è stata pubblicata sulla Royal Society Open Science, rivista della Royal Society britannica. L’indagine si basa sull’analisi del comportamento dei cani durante il gioco, prendendo in considerazione mimica facciale (bocca socchiusa e rilassata) e corporea (inchino giocoso). «La risposta involontaria del cane alla gestualità facciale e corporea di un proprio simile esiste ed è rapida quanto quella umana – spiega Palagi -. Ma non solo: le sessioni di gioco in cui la mimica facciale e corporea erano più frequenti erano anche quelle di maggior durata, e se a giocare erano cani ‘amici’, la mimica facciale era ancora più marcata. La capacità di leggere attraverso il corpo e la ‘faccia’ le emozioni altrui e di rispondere in modo appropriato è alla base di quei comportamenti che vengono catalogati come empatici».
«Siamo più simili ad altri animali sociali di quanto non vorremmo credere» I dati sono stati raccolti durante uno studio condotto nel 2012 in un giardino pubblico del Parco della Favorita a Palermo, filmando, con il permesso dei proprietari, 49 cani domestici di razza e non, dai 3 ai 72 mesi di età, per un totale di 50 ore di video. Dopo un lavoro di video-analisi, i ricercatori hanno verificato la loro ipotesi: «Siamo più simili ad altri animali sociali di quanto non vorremmo credere – conclude Palagi – e numerosi sono i potenziali sviluppi dello studio. In futuro speriamo di poter studiare la mimica anche nel lupo, per capire quanto questo fenomeno sia frutto del processo di domesticazione e quanto sia invece radicato nell’evoluzione della comunicazione emotiva dei carnivori sociali. Se così fosse, si aprirebbero infinite linee di ricerca».