La prima ora di religione con Padre Corrado era fissata nel diario di terza liceo in non so quale giorno della settimana. Ma ricordo che era la terza ora, quella dopo la ricreazione. Avevo 15 anni, e all’epoca si parlava di occupazioni, anzi okkupazioni, scioperi e manifestazioni tra i banchi di una scuola pubblica ricca di politica vissuta e parlata. Era trascorsa l’estate, quella del massacro di Srebrenica per intendersi, e noi alunni più o meno attivisti e più o meno attenti a digerire il primo Governo Berlusconi eravamo soliti discutere, arrabbiarci e, perché no, litigare sui temi di attualità politica. Erano gli anni che la politica aveva un valore tra i banchi di scuola come tra quelli del Parlamento. Anzi, credo proprio che fossimo sotto l’empasse del primo Governo Tecnico della storia della Repubblica Italiana, proprio quello che avrebbe aperto la strada all’oggi, con l’aplomb però, non di Mario Monti, ma di Lamberto Dini. E la politica era motivo di discussione anche tra noi quindicenni, più del Grande Fratello, e quella ricreazione, quella prima dell’ora di religione, la passai a litigare con una mia compagna di classe per diversità di vedute. Gli animi, ricordo, si riscaldarono tra due alunni non propriamente modelli che erano seduti in fondo a sinistra l’uno e in fondo a destra l’altra. Fu in quel momento, ancor prima che suonasse la campanella di fine panino, che comparve in classe quel professore di religione in veste francescana. Mi aspettavo la predica del caso e il richiamo all’ordine immediato per poi lasciar spazio al mio finto ascoltare massime su parabole e dogmi.
Mi avvicinò sorridente, con una mano sulla spalla mi disse solo “pensa, chi parla per secondo spesso ha molto da dire”.
Sul mio immediato e interrogante silenzio suonò la campanella di fine panino. Il tempo ai miei compagni di classe di gettare le carte stagnole accartocciate con le ultime briciole e ci sedemmo, io in fondo a sinistra e la mia compagna di classe a destra. “Cristian e Francesca – disse Padre Corrado – di cosa litigavate? Perché non ci rendete tutti partecipi almeno ne parliamo insieme”. Fui io, ricordo, a rompere il ghiaccio di una domanda glaciale. Ma ancor più nitida nel ricordo fu quella lezione di religione in cui tutti ci mettemmo a parlare del motivo del contendere tra me e Francesca. Parlammo per un’ora del mio “Che” e della sua croce celtica sugli zaini. Simboli di un pensiero e di una coscienza in maturazione, i miei e i suoi, genuini quanto forse banali. Era il comune sentire di molti ragazzi della mia età ed è per questo che quel motivo di contendere divenne oggetto della prima lezione di religione. Tutti intervennero, i miei compagni di classe, per dire la loro apportando motivazioni e riflessioni ad una discussione calata nei toni e cresciuta nei contenuti. Padre Corrado stava in silenzio, in piedi perché non sedeva in cattedra, ora ammiccando un sorriso ora lasciando che la mano si appoggiasse in quello o nell’altro banco. Un’ora intera a parlare e ascoltare quello che aveva da dire la secchiona e il fighetto di classe, il genio di matematica e quella che prendevamo sempre in giro, quella che sbuffava sempre e il chierichetto di classe, l’appassionata dei take that e quello che ascoltava Venditti. Nelle etichette che ci costruiamo e ci costruiscono addosso già a quella età stemmo un’ora a discutere probabilmente proprio del valore dei simboli, più o meno politici o politicizzati. Ma ogni etichetta pensava e parlava. Suonò la campanella. Padre Corrado ammiccò l’ultimo sorriso. Non disse niente ma ricordo perfettamente che mi guardò mentre riprese la sua borsa nera di stoffa appoggiata sulla cattedra. E come arrivò, con quel buffo silenzioso sorriso ricco di parole, se ne andò senza proferire altra parola. Fu la prima di una lunga serie di lezioni, di religione.
A distanza di anni, la prima, però, me la ricordo ancora. Non ho mai capito perché non ho mai voluto chiedermelo, forse mosso dall’autoconvinzione di una coscienza nella strada della laicità, da dove avesse tirato fuori quelle parole che non avevano il peso di una parabola ma l’ascetica leggerezza di un pensiero profondo: “Pensa, chi parla per secondo spesso ha molto da dire”.
Poi ieri se n’è andato senza proferire parola e si presenterà oggi a chi di dovere con la sua borsa di stoffa nera che ha girato il mondo insieme a quel buffo silenzioso sorriso ricco di parole.