Da alcuni mesi si è tornati a parlare di Caterina Vannini, senese della contrada della Tartuca, vissuta nella seconda metà del Cinquecento e pressoché santa (nella rigorosa gerarchia della corte celeste ha il titolo di Venerabile). Ma il rinnovato interesse verso la donna nata a Siena in via delle Murella, non è dato, oggi, dai suoi già noti vizi giovanili e dalle altrettanto manifeste virtù dell’età matura. A raccontare di lei sono le cronache culturali. Da quando due prestigiosi storici dell’arte, Mina Gregori e Bert Treffers, sostengono di aver rintracciato in una collezione privata europea la vera “Maria Maddalena in estasi” di Caravaggio (in giro per il mondo ne esistono almeno otto esemplari), aggiungendo che quel ritratto inquietante, quella donna sconvolta tra estasi e sofferenza possa essere, giustappunto, Caterina Vannini. Il dipinto, come del resto la morte del suo autore, ha costituito da sempre un mistero. Era una delle tele che Caravaggio, in fuga da Roma dopo essere stato accusato d’omicidio, portava con sé sulla barca in navigazione verso Porto Ercole. I quadri sparirono nel nulla, come inghiottiti dai flutti della Feniglia. Ora Mina Gregori non ha dubbi: «L’incarnato del corpo di toni variati, l’intensità del volto. I polsi forti e le mani di toni lividi con mirabili variazioni di colore e di luce e con l’ombra che oscura la metà delle dita sono gli aspetti più interessanti e intensi del dipinto. E’ Caravaggio». Pare, inoltre, che dalla rifoderatura della tela sia spuntato un biglietto con su scritto «Madalena reversa di Caravaggio a Chiaia ivi da servare pel beneficio del Cardinale Borghese di Roma».
Caterina e Maddalena Si insiste anche nel dire che la scarmigliata donna raffigurata sia la senese Vannini. Queste le congetture. Siamo nell’estate del 1606 e Caravaggio l’ha combinata grossa. Durante una rissa ha ammazzato il giovane aristocratico Ranuccio Tomassoni. Scappa dunque da Roma. L’iracondo pittore ha qualche sussulto di rimorso e lo esplicita nel soggetto che del pentimento è l’icona per eccellenza: Maria Maddalena. Nei medesimi giorni, a Siena, stava morendo per idropisia Caterina Vannini, una ex prostituta, poi suora in odore di santità. Insomma, anche lei una Maddalena. E’ pur vero che l’accostamento tra Caravaggio e la monaca senese non è nuovo. Già un altro storico dell’arte, Maurizio Calvesi, ha sostenuto una tesi analoga a proposito della “Morte della Vergine” esposta al Louvre. Un quadro non meno conturbante della “Maddalena”, commissionato nel 1601 dai carmelitani per la chiesa di Santa Maria della Scala a Roma. Ma rifiutato, perché privo d’ogni aura mistica. Quasi blasfemo nella rappresentazione di una Vergine dal volto terreo, sfinita, il ventre gonfio (malata di idropisia?), i piedi nudi fino alla caviglia. Prima che Calvesi avanzasse l’ipotesi che potesse trattarsi della Vannini, leggenda voleva che Caravaggio avesse preso a modella una prostituta morta annegata nel Tevere.
La Taide senese Certo è che la vicenda di Caterina Vannini, al tempo aveva fatto scalpore. Nata a Siena tra il 1558 e il 1562, appena adolescente era finita a Roma a fare la cortigiana con la brutta nomea di “Taide senese” (dal nome con cui Terenzio nella commedia “Eunuchus” chiama l’amante prostituta del soldato Trasone). Talmente scostumata era la condotta della ragazzina che Gregorio XIII la fece addirittura imprigionare. Nel 1575 decide di tornare a Siena tenendosi stretta la borsa con il cospicuo ricavato (denari e preziosi) della sua attività romana. Dalla frequentazione delle alcove passa a quella delle chiese, in particolare quella di Sant’Agostino, a pochi passi dalla casa delle Murella. Ed è proprio nel tempio agostiniano che una domenica di Avvento ascolta una predica, guarda caso sulla conversione della Maddalena. Giunge così la svolta. Vende i suoi averi, destina il ricavato ai poveri, quindi si fa terziaria domenicana, finché non viene ammessa nel monastero delle Convertite. Decide di stare per quattro anni in assoluto silenzio, limitandosi solo a bisbigliare al confessore il repertorio (a questo punto modesto) dei peccati. Non perse, comunque, la sua indole passionale, determinata, di grande sensibilità. Ne seppero qualcosa i direttori spirituali nel doversi rapportare con una donna dal carattere irrequieto, sveglia d’intelletto. Morì giovane, il 30 luglio del 1606.
Un biografo di lusso A dare notorietà alla Vannini non fu soltanto la sua vicenda esistenziale e religiosa, ma anche chi di quella storia ne fu il primo narratore: il cardinale Federico Borromeo. Ebbene sì, proprio colui che a detta del Manzoni «fu degli uomini rari in qualunque tempo … nella ricerca e nell’esercizio del meglio». Si devono, infatti, al Borromeo “I tre libri della Vita di Suor Caterina monaca convertita” pubblicati a Milano nel 1618. Questa biografia d’autore non nacque per caso. Durante la sua vita in monastero, Caterina aveva avuto una fitta corrispondenza con il porporato. Fin troppo intensa e, secondo alcuni, ambigua, morbosa, percorsa da una sensualità che il pretesto mistico non bastava a giustificare. Ad esempio, tanto ardisce la monaca in una lettera: «Quando io vi scrivo non posso trovare la via di fenire; sì bene non fenisco mai e mai fenisco perché Iddio è senza mai fine, e così ha da esser el mio amarvi». Pure la penna del Borromeo, per quanto vigile, lascia trasparire qualche fremito verso la convertita, come quando nella prima edizione della “Vita” si dilunga a descrivere «il sembiante» di Caterina, che «fu giovenile ancora nell’età matura». Pagina che non si ritrova nelle successive ristampe, poiché il cardinale decide di autocensurarsi per quella descrizione vergata troppo «secondo il senso».
Nella casa delle Murella Al di là della facile agiografia o della pruriginosa curiosità, chi volesse farsi un’idea della santa della Tartuca può andare a rileggere l’agile ma penetrante volumetto scritto da Roberto Barzanti e Adriano Sofri “Dialoghi di una convertita. Vita e lettere della Venerabile Caterina Vannini senese” (Edizioni Barbablù, 1986). Nell’intento di tratteggiare (e contestualizzare) la personalità di Caterina, annota Barzanti che siamo di fronte alla «statura di una donna che mostra una sua singolarità … un animo risentito, consapevole di sé, ricco di ingenui trasporti e voglioso imperiosamente di inflessibili fedeltà, ricco di scatti e gelosie, di riservatezza e slanci». Almeno per il momento a noi non è concesso di poter visionare la probabile Caterina/Maddalena del Caravaggio. Più semplice (e più rassicurante) è vederla nel quadro (copia settecentesca di un ritratto forse dipinto da Paolo Veronese) conservato nel museo della Tartuca. Nel 1984 la contrada ottenne di poter traslare nell’Oratorio di Sant’Antonio (che sorge proprio dove abitava la Vannini) i resti mortali della Venerabile che giacevano, dimenticati, nella chiesa del Conservatorio di Santa Maria Maddalena in via Mattioli. Ora, a casa sua, se ne sta in pace la “piccinina” (come lei amava spesso definirsi), la inquieta creatura che ebbe dolorosamente a confidare: «perché il grande Iddio mi conosce furicosa hami troncato l’ali».