Ci sono almeno tre attività che non avrei mai potuto esercitare: il chirurgo, il restauratore d’arte, l’editor. Tre mestieri che implicano di dover mettere le mani su cose altrui e di fare danni irreparabili. Persino nel lavoro di curatore editoriale, che potrebbe risultare più consono alle mie inclinazioni, vedrei rischi pazzeschi e insostenibili cause per responsabilità civili (forse penali) verso terzi. Troppo arbitrario dover intervenire sul manoscritto di un autore, per suggerire (talvolta imporre) tagli, smontaggi e rimontaggi della trama, scelte lessicali, cadenze narrative. Mi viene sempre da pensare – se all’epoca fosse esistita questa figura professionale – come si sarebbe comportato un editor dinanzi a un testo di Federigo Tozzi. Magari alle prese con la (non)struttura narrativa di Con gli occhi chiusi, con quella scrittura ruvida, nervosa, icastica (eh no, Federigo, qui va cambiato, non funziona…”). Quanti rifacimenti sarebbero stati richiesti, fino, probabilmente, a privarci di un libro che, per molti versi, anticipò il romanzo psicologico novecentesco, oltre che rivelare una originalissima cifra stilistica. Ciò non nega il fatto che esistano bravissimi editor (accorte levatrici) nell’aiutare uno scrittore a sapersi rivelare al meglio. Pero, però…, quanti abbagli clamorosi si contano nella storia letteraria, allorché altre blasonate figure professionali, i cosiddetti ‘lettori’ delle case editrici, bocciavano manoscritti ritenuti non degni di pubblicazione. In tal caso non era un problema di editing, perché il libro non piaceva tout-court. Come quando Gli indifferenti di Moravia fu giudicato “una nebbia di parole” o Se questo è un uomo di Primo Levi venne respinto da Einaudi per ben due volte: nel ´47 il giudizio positivo di Natalia Ginzburg non è condiviso da Pavese, nel ´52 Pavese è morto ma il rifiuto si ripete. Einaudi pubblicherà il capolavoro di Levi solo nel ´58. Chi volesse documentarsi in questa controstoria della letteratura può farlo leggendo il libro Siamo spiacenti di Gian Carlo Ferretti (Bruno Mondadori, 2012), dalle cui pagine si apprende che Italo Calvino (consulente di Einaudi) si oppose alla pubblicazione de I racconti della Ghisolfa di Testori e anche della Scoperta dell’alfabeto di Luigi Malerba (una raccolta di racconti “grezzi e con poca sostanza, … neorealismo paesano stile 1946 ma senza lirismo”). Ripetuti rifiuti e diffidenze ebbe anche Il gattopardo di Tomasi di Lampedusa e, ancora, autori quali Morselli, Pasolini, Volponi Camilleri. Talora la questione fu di opportunità editoriali e commerciali, altre volte, di scarsa lungimiranza. Oggi, fatta salva una editoria di nicchia che guarda alla qualità e a un pluralismo di proposte, la linea è dettata soprattutto dal marketing; che pompa autori gracilini ma di sicuro impatto pop o più strutturati scrittori invitati a replicare se stessi finché ci sia un riscontro di vendite. Così il successo di un libro è spesso una sorta di disco dell’estate, costruito sul ritmo di un ballabile, retorico quanto un volo di gabbiani.

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