renzi leopoldaVeniamo da un fine settimana di politica, di coinvolgimento popolare, di gente che ha manifestato le proprie opinioni pubblicamente; eppure ci rimane l’amaro in bocca, ci rimane la sensazione che non fosse tutto oro quello che luccicava tra bandiere rosse e tavoli bianchi, nemmeno in quanto a partecipazione democratica. Guardi le immagini della Leopolda e di Piazza San Giovanni e ti senti dentro ad un momento storico determinante, pensi come sia bello vedere tutta quelle persone coinvolte in un movimento collettivo con pochi precedenti negli ultimi anni, eppure…

Eppure avverti che il Partito Democratico in quelle piazze non c’è. Prima di ogni ragionamento te ne accorgi perché non scorgi una bandiera del PD. Nessuna alla Leopolda, sparute alla manifestazione della CGIL. E non poteva che essere così, perché il PD non è sceso in piazza, né con Renzi, né con la Camusso. Il PD semplicemente in quel 25 ottobre non c’era. Uno dei giorni di mobilitazione collettiva più importanti degli ultimi anni, e il partito ormai unico del centrosinistra, il partito del 40 e rotti per cento, il partito che, in quanto democratico, della partecipazione dovrebbe fare la sua ragion d’essere, non è stato, di quel giorno, protagonista, ma nemmeno comparsa.

San Giovanni è la “piazza” per antonomasia; la Cgil in fondo, nella sua dimensione politica prima ancora che sindacale, è la piazza potenziale che resiste al tempo e alle trasformazioni e che diventa attuale nei momenti di crisi. Ma anche la Leopoloda è una piazza; un po’ più comoda, ti puoi sedere a tavolino, ma sempre di piazza si tratta a tutti gli effetti. Ma lo è in fondo tutto l’anno, sempre, non solo nei giorni in cui è convocata, perché lo è nelle modalità comunicative, nel linguaggio, nel rapporto diretto tra leader e massa. E piazza, pur se virtuale, lo sono anche le Direzioni Nazionali del PD in streaming, dove il leader parla a chi sta a casa, alla massa dei connessi ad internet.

In tutte queste piazze il PD non c’era: a Firenze c’era il popolo della Leopolda, a Roma quello della Cgil, e in streaming c’è Renzi, non il partito (gli interventi in Direzione dopo quelli del Segretario sono relegati a inutile corollario, sembrano quasi infastidire, in quanto elemento di disturbo alla rappresentazione scenica).

E il PD non c’è in un modo tutto particolare: non c’è perché si è dissolto in quelle piazze reali e virtuali, è stato fagocitato dalla loro forza, che è la forza di coloro che le hanno riempite affascinati dalla promessa di un sogno gli uni e responsabilizzati da un richiamo identitario gli altri, ma tutti accomunati dalla percezione che altro luogo per fare politica in Italia oggi non ci sia.

Piazze piene di esponenti del PD: nel caso della Leopolda è addirittura il Segretario Nazionale a tenere banco per tre giorni (che uno poi si immagina che un Presidente del Consiglio abbia tutti questi impegni e poi…). Ma tutti lì a titolo personale, nella comprensibile necessità di affermare la propria presenza o di consolidare la propria leadership, e a rappresentare mondi in contrapposizione tra loro, ma soprattutto a rispondere alla piazza e alle sue logiche di massa. Foto, interviste, slogan, sorrisi, abbracci, striscioni, manifesti, fischietti, cori, toni alti… Quelle piazze diventano la nemesi di un PD che scompare, e che lo fa forse inesorabilmente come partito novecentesco, ma che non prova nemmeno a rinascere in forme più adeguate ai tempi.

E’ come se il 25 ottobre, tra Firenze e Roma, si fosse consumata la scena finale del partito come luogo dove la massa viene “distillata” in cittadini consapevoli, dove la piazza si limita, rielabora e si organizza in istanza politica programmatica e riformatrice.

Qui non vogliamo dire che la piazza non sia importante per un partito di sinistra, in quanto lo è sotto il profilo storico, culturale ed anche sentimentale; ma lo deve essere in quanto luogo da presidiare politicamente, da curare, da rispettare, da conquistare. E non vogliamo nemmeno dire che non lo siano le masse importanti, ben ce ne guardiamo. Ma oggi è la piazza che ha conquistato il PD, che lo ha annichilito; ed è il PD che sembra aver abdicato al compito di fare delle masse popolo consapevole, un compito fino a ieri scontato per un partito di stampo democratico. E lo ha fatto senza ancora proporsi con una nuova missione storica (e scrivo “ancora” perché continuo testardamente a crederci).

E allora quasi beffardamente mentre la Direzione Nazionale discute della “forma partito”, in un dibattito che arriva clamorosamente in ritardo, poco coraggioso e tutto fatto di “ma non si corre il rischio di…?”. Un dibattito che si muove tra le timidezze e i conservatorismi di chi si culla nell’idea di poter ritrovare il partito che fu, e l’indifferenza di coloro che di un partito non hanno bisogno. E che dopo discusso rinvia il tutto a successivi approfondimenti. Ecco, mentre accade questo, è la piazza che invece non da tempo al tempo e affonda le sue unghie dentro il PD rischiando di smembrarlo per sempre.

Il problema, si badi bene, non sta delle correnti che mettono in crisi l’unità del partito. La strutturazione del PD in aree politiche semmai potrebbe garantirla quell’unità, se solo si avesse il coraggio di accettarla apertamente, invece che praticarla surrettiziamente e denunciarla in pubblico, facendo delle aree politiche un vizio privato, e del finto unanimismo una pubblica virtù.

Il problema vero è che invece di affrontare le questioni del consenso e della partecipazione democratica cercando di rappresentare e guidare le diverse classi e ceti sociali di riferimento, e farlo sulla base di specifiche offerte politiche, ci si accontenta di spartirsi le piazze, contrapponendo le une alle altre, e usando solo lo strumento della mobilitazione e non quello della partecipazione. Il tutto a colpi di “noi ci siamo presi il partito” da un lato e “noi ci riprenderemo il partito” dall’altro, dove quei “noi” finiscono per essere le transenne che dividono universi valoriali tra loro inconciliabili.

L’ulteriore  problema è che la piazza e le masse (ripeto non l’insieme dei cittadini consapevoli che sono altra cosa) hanno bisogno di un capo prima ancora che di un leader: dove il capo è quello che comanda e seduce, e il leader è colui che guida e convince. Hanno bisogno di un nemico, e superato per consunzione l’antiberlusconismo, il nemico le piazze della sinistra se lo sono trovate reciprocamente in casa propria. Ed hanno bisogno di un racconto che emozioni prima che di idee, argomentazioni, programmi e verità che convincano.

Per inciso, è innegabile che un capo, un nemico (più di uno) e un racconto avvolgente la Leopolda ce l’abbia e San Giovanni no (ha solo il nemico). Ma è questo che serve? La Leopolda può essere, dati i presupposti, il PD? E soprattutto, il PD può essere una piazza, fosse anche la grande e indistinta Piazza della Nazione che alcuni prospettano?