SIENA – La guerra che procede, le bollette e la benzina alle stelle e i ricatti della Russia sul gas. Una serie di eventi che incide sempre più nella vita di tutti i giorni. Dei cittadini e dei governi, che per quanto riguarda le fonti energetiche, sono di fronte a un momento storico. Inquadrato da Simone Bastianoni, professore ordinario del Dipartimento di Scienze fisiche, della terra e dell’ambiente dell’università di Siena.
Prof. Bastianoni, la guerra ha cancellato la transizione ecologica dalle agende governative?
“Se fosse così, sarebbe una cosa davvero stupida. L’attuale momento dovrebbe farci accelerare verso il futuro. La nostra dipendenza dal gas è uno dei problemi che ha portato a questa situazione. Quindi, la direzione da prendere è chiara”.
Per il ministro Cingolani l’Italia si potrebbe staccare dal gas russo entro 24-30 mesi. E’ possibile?
“Potremmo essere anche indipendenti da quello russo, ma saremmo dipendenti da quello kazako e algerino. Non so quanto questa cosa ci possa convenire. Sono rimasto spiazzato dalle dichiarazioni del ministro, perché mi sarei aspettato un maggior impegno dell’Italia per staccarsi dai consumi di energia fossile. Abbiamo un’occasione importante con il Next Generation Eu”.
Eppure la Germania e il Belgio hanno fatto retromarcia sulle centrali a carbone. Questo che ci dice?
“E’ una scelta rivolta all’immediato. La Germania tiene acceso anche il nucleare. Però già nel medio periodo le politiche di altri Paesi sono mirate a una transizione drastica”.
Avrebbe senso fare marcia indietro in merito al referendum sul nucleare?
“Direi che sarebbe ‘diversamente intelligente’ farlo. Se nella produzione di energia è vero che non aumentano i livelli di anidride carbonica, per quanto riguarda lo smaltimento delle scorie, l’ambiente ne risente in maniera pesante. Non abbiamo trovato ancora i depositi per i sei mesi in cui le centrali sono rimaste accese nel 1987”.
La guerra può essere un’occasione per ripensare alle politiche energetiche?
“Se siamo intelligenti, lo è già. Affidarsi al mercato dell’energia quanto questa è un bene limitato, e in alcuni casi anche in esaurimento, è facile che diventi ‘un mercato nero’ e questo fa lievitare i prezzi”.
L’Italia fa fatica con le rinnovabili, perché il malaffare è spesso dietro l’angolo. Come se ne esce?
“Non è semplice, però abbiamo un’arma importante che si chiama legge Latorre. Ovvero la possibilità dello Stato di appropriarsi dei beni delle mafie. Quindi, estremizzando il concetto, se la la criminalità si butta in questo settore, non è per forza un male. Lo Stato però deve essere veloce a impedire i ritorni economici di questi investimenti, confiscandoli. Chiaramente all’atto pratico è un’operazione più complessa, ma non si può rinunciare alle rinnovabili per paura di infiltrazioni. Sarebbe come rinunciare ad avere hotel o ristoranti perché alcuni di essi sono di proprietà di persone riconducibili alle mafie”.
Quali sono le energie rinnovabili sulle quali l’Italia può puntare?
“La geotermia per esempio. E’ una risorsa importante qui in Toscana. Va utilizzata nella maniera giusta. Ci sono vari tipi, quella a bassa entalpia si trova anche in altre zone e può essere utile a riscaldare le nostre case. Poi, si può utilizzare lo scambio termico con il mare per il riscaldamento. Noi dobbiamo puntare su tante piccole cose. Dovremmo dire dove non vogliamo le pale eoliche, non il contrario. Infine, colonizzare tutti i tetti possibili di pregio limitato, con i pannelli solari”.
La geotermia però incontra tante resistenze. E’ pericolosa?
“Le tecnologie utilizzate oggi non hanno niente a che vedere con il passato. Dire che la geotermia non va usata, è sbagliato. Va mantenuto un equilibrio. Il concetto vale per tutti le installazioni per produrre energie. Da ciò è scaturita ‘la sindrome Nimby’ (not in my back yard, ndr). Questo problema si supera adottando una diversa concezione della proprietà dell’energia. Che deve appartenere anche i cittadini. In pratica la popolazione va coinvolta nelle scelte. In Danimarca era già in voga 15 anni fa”.
L’Italia quanta strada ha fatto rispetto al referendum sulle trivelle del 2016?
“Concettualmente non molta. Più da parte delle politica, tranne alcune cittadini, che dei cittadini. Nel 1993 Carlo Rubbia propose di sfruttare una minuscola parte deserto del Sahara per impiantare pannelli fotovoltaici per dare energia sia all’Italia che al Paese ospitante. Sono passati 30 anni e non mi sembrano molti i passi in avanti”.
Quanti rischi ci sono per un eventuale incidente nella centrale ucraina di Zaporizhzhya?
“Non pochi, considerando che non serve una bomba atomica per crearlo. E’ sufficiente un bombardamento con armi convenzionali. Credo sia un ulteriore motivo per non utilizzare l’energia nucleare”.