Personalmente, non ho mai avuto problemi a pagare la tassa di soggiorno. E quando decido di andare a visitare una città, non mi preoccupo mai di vedere se applica o meno questa tassa. Né, tanto meno, vado a “sbirciare” se è più conveniente soggiornare nel comune vicino che non la applica, perché così risparmio. Dirò di più: se la tassa è accettabile (fino a 2-3 euro a camera per notte), la ritengo anche un giusto contributo da parte di noi visitatori. Non riesco dunque a capire lo psicodramma che in Toscana (ma temo anche in altre parti di Italia) circonda l’applicazione della tassa di soggiorno e, soprattutto, la destinazione dei soldi incassati.
Che – a mio parere – dovrebbe essere semplice ed univoca. Non avendo un singolo comune la forza, e neppure la competenza amministrativa, di occuparsi della promozione, una quota del 30-40% della tassa di soggiorno andrebbe destinata ai servizi di accoglienza in città: un ufficio di informazione, un social media team che lavori sui canali di comunicazione tradizionali ed online, la stampa e distribuzioni di materiali informativi, il sostegno economico a servizi turistici (visite guidate, tour tematici, aperture straordinarie, ecc.).
La possibilità di scelta è – come si vede – molto ampia e dovrebbe essere motivo di orgoglio per l’amministrazione, che offre servizi sempre migliori ai turisti, in cambio di un congruo contributo.
Oppure, in alternativa, dire in maniera chiara che la tassa di soggiorno è solo un canale in più di entrate ordinarie e che della accoglienza turistica non importa nulla né al sindaco, né all’assessore competente. Senza vergognarsi della propria scelta.
Si preferisce, invece, buttarla in farsa e difendere scelte indifendibili dell’uso di questi soldi: chi ci compra i cassonetti nuovi perché migliorano l’aspetto urbano della città che si presenta ai turisti; chi ci finanzia iniziative che di turistico non hanno nulla, ma servono solo a dare qualche migliaio di euro ai soliti amici degli amici così utili in campagna elettorale; chi sostiene di spendere per il turismo ben più soldi di quelli della tassa di soggiorno, mettendo nel calderone interventi urbanistici e immobiliari che seguono tutt’altre logiche; chi ci ridipinge le strisce pedonali, perché anche i turisti attraversano le strade. Chi ci finanzia un video di destinazione, completamente isolato e sganciato da un progetto di comunicazione e di destinazione.
Insomma il campionario è vario e – per dirla con il grande Ennio Flaiano – la situazione è sempre grave, ma mai seria. Con il risultato – ancora più divertente – di lasciare facile gioco a chi, avendo deciso di non applicarla, cerca addirittura di usare questa scelta come elemento di vantaggio e scrive sul proprio sito o sui propri depliant la dicitura fatale: «qui non si applica la tassa di soggiorno».