Non è una novità che le notizie economiche tengano banco nel dibattito pubblico; ma il tipo di notizie a cui assistiamo in questo decennio è sicuramente nuovo rispetto a ciò a cui ci hanno abituato i decenni precedenti. Un esempio è la deflazione, cioé il fatto che l’indice dei prezzi al consumo calcolato dall’ISTAT è diminuito (dato preliminare da agosto 2013 ad agosto 2014: -0.1%), guidato soprattutto dal calo dei prezzi dell’energia senza la quale l’inflazione sarebbe stata leggermente positiva, +0.4%, dato comunque da considerare piuttosto anemico se si considera che l’obiettivo di lungo periodo della Banca Centrale Europea è del 2% di inflazione annua. Bassa inflazione vuol dire che i prezzi dei beni di consumo non crescono; e addirittura diminuiscono se siamo in deflazione. Visto che la tipica lamentela è «tutto aumenta», può apparire strano che i giornali vedano come preoccupante questo fenomeno. Per una volta che al mercato frutta e verdura costano meno dell’anno scorso….
In realtà il fenomeno è davvero preoccupante, ma non è l’andamento stagnante dei prezzi il vero problema, ma le cause di questa stagnazione. L’inflazione è bassa, secondo la stragrande maggioranza degli economisti, perché non c’è domanda di beni: le famiglie non spendono, e questo si riflette in prezzi al ribasso allo scopo di attirare i consumatori. Non spendono perché la percentuale di reddito disponibile (cioé il reddito che rimane dopo aver pagato i bisogni necessari come affitto/mutuo, acqua, luce, benzina, ecc.) si è pesantemente contratta nell’ultimo decennio. Inoltre, sembra esserci un problema di fiducia; anche le famiglie che potrebbero spendere qualcosa in più preferiscono risparmiare a causa dei tempi cupi e della difficoltà nel generare nuovo reddito.
La deflazione ha anche un effetto negativo in termini di finanza pubblica; l’inflazione è infatti il metodo storicamente preferito dai governi per ripagare il debito pubblico; in uno scenario di crescita nulla e inflazione nulla, pagare gli interessi sul debito è relativamente più oneroso. Ovviamente il problema tocca maggiormente l’Italia, che ha un debito pubblico gigantesco. Quindi anche se i tassi di interesse nominali sono ai minimi storici (il BTP decennale rende appena intorno al 2,4%), quelli reali restano ampiamente positivi visto che non c’è nessuno “sconto” dovuto all’inflazione, e quindi pesanti da onorare in un contesto di crescita assente.
Infine, l’assenza di inflazione crea un importante problema di politica monetaria. La Banca Centrale Europea si è attrezzata per combattere l’alta inflazione, fissando l’obiettivo al 2%; ma non aveva previsto di dover combattere la bassa inflazione che oggi viene fronteggiata. Il rimedio usuale in questi casi sarebbe quello di abbassare i tassi di interesse, ma questi sono già attorno allo zero da molto tempo. Occorre quindi ricorrere a politiche monetarie mai utilizzate in precedenza (come il Quantitative Easing, cioé l’acquisto di titoli detenuti da privati da parte della BCE, i prestiti diretti alle banche a tassi di interesse bassissimi, l’acquisto diretto di titoli di stato sul mercato secondario o l’utilizzo di tassi negativi) che però i banchieri centrali sono riluttanti ad adottare visto che non se ne conoscono fino in fondo tutte le possibili controindicazioni, come un medico riluttante ad utilizzare terapie delle quali non si conoscono pienamente gli effetti. Ad esempio, l’utilizzo del Quantitative Easing negli Stati Uniti, cominciato molto tempo addietro, ha portato a una ripresa vistosa della crescita, ma non ad una ripresa altrettanto tangibile dell’occupazione.
In sostanza, la deflazione è preoccupante per almeno due motivi: il primo è che essa, con ogni probabilità, è dovuta alla perdita di potere d’acquisto delle famiglie; il secondo è che essa si innesta in uno scenario macroeconomico del tutto nuovo per il quale non sono ovvie le contromisure da adottare, consistendo queste in strumenti non convenzionali. Chiaramente queste sono considerazioni generali, e nella società c’è chi si avvantaggia di questa situazione. Ad esempio, chi ha la possibilità di acquistare un immobile in questo periodo riuscirà sicuramente ad ottenere prezzi più interessanti di quelli che otterrebbe in un regime di inflazione più abituale. Il problema è però sensibile, per esempio, per chi è in cerca di occupazione e sarebbe senz’altro pronto a barattare prezzi più alti con un lavoro e un reddito mensile. Chi non ha reddito, infatti, non può nemmeno approfittare dei prezzi bassi.