Donne che guadagnano meno degli uomini, un Paese sempre più vecchio, immigrati in crescita e famiglie povere in aumento. E’ la fotografia dell’Italia scattata dal Rapporto sulla coesione sociale diffuso dall’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale, Istat e ministero del Lavoro presentato questa mattina a Roma.
Donne e uomini a confronto Le lavoratrici dipendenti italiane guadagno in media 1.131,00 euro netti al mese vale a dire il 19,6% in meno rispetto ai colleghi maschi (1.407,00). Stando ai dati, nel 2010, la distanza è aumentata anche tra italiani (1.286,00) e stranieri (973,00); rispetto a questi ultimi, il divario di genere è ancora più accentuato, visto che a fronte di un guadagno mensile netto di 1.118,00 euro al mese per i maschi stranieri, le donne arrivano appena a 788,00 euro.
Un Paese di vecchi L'Italia e' uno dei Paesi piu' vecchi al mondo e lo sara' sempre di piu' nei prossimi anni: al primo gennaio 2011 si registrano 144,5 anziani ogni 100 giovani. Ma secondo le previsioni attuali nel 2050 gli anziani saranno 256 ogni 100 giovani. A determinare questo trend, e' l'aumento della sopravvivenza combinato con i bassi livelli di fecondita'. In particolare, l'aspettativa di vita della popolazione italiana e' di 79,2 anni per gli uomini e 84,4 per le donne, rispettivamente circa nove e sette anni in piu' rispetto a trent'anni fa. Il trend e' crescente anche per le persone in eta' avanzata: un uomo di 65 anni puo' aspettarsi di vivere altri 18,4 anni e una donna altri 21,4 anni, un ottantenne altri 8,4 e una ottantenne 10,1 anni. A livello territoriale, l'area del Paese piu' longeva e' quella del centro nord, la piu' giovane quella meridionale (isole escluse). Cresce anche l'indice di dipendenza, misurato dal rapporto percentuale fra la popolazione in eta' non attiva (0-14 anni e over65) e quella in eta' attiva (15-64 anni), che passa dal 45,5% del 1995 al 52,3 del 2011. Nel 2050 questo rapporto dovrebbe salire a 84,7.
Matrimonio sempre più tardi Sposarsi non va più di moda e se proprio deve succedere che sia il più tardi possibile. L’età media del primo matrimonio e' di 33,1 anni per gli uomini e di 30,1 per le donne, con uno spostamento in avanti di circa sei anni rispetto al 1980. Nel 2009 sono stati celebrati circa 231mila matrimoni, 16mila in meno rispetto all'anno precedente, a conferma del trend discendente degli ultimi anni. Crescono, invece, i matrimoni celebrati con rito civile, ormai piu' di un terzo del totale (37,2%), triplicati rispetto al 1980. Sempre nel 2009 le separazioni legali sono state circa 86mila (+2,1% rispetto a un anno prima) e i divorzi 54mila (+0,2%). L'instabilita' coniugale e' in continua ascesa: nel 1980 ogni 1.000 matrimoni si registravano 91 separazioni e 37 divorzi, nel 2009 se ne contano rispettivamente 373 e 236.
Immigrati in crescita Gli stranieri residenti in Italia sono 4 milioni e 570mila (+335mila rispetto all'anno precedente) e costituiscono circa l'8% della popolazione. Le cittadinanze straniere maggiormente rappresentate sono quelle romena (969mila residenti), albanese (483mila) e marocchina (452 mila). Sempre al primo gennaio 2011, i residenti nel nostro Paese sono 60 milioni e 626mila (286mila in piu' dell'anno precedente): l'incremento e' dovuto al saldo attivo del movimento migratorio con l'estero (+6,3 per mille), che compensa l'effetto negativo del saldo naturale. Il saldo complessivo e' del +4,7 per mille.
I giovani “neet”2,1 milioni di giovani non studiano ne' lavorano. I cosiddetti 'Neet' (Not in Education, Employment or Training) sono soprattutto ragazze: 1,7 milioni contro i 938mila maschi. Secondo il dossier, il 38% di questi ragazzi ha un eta' compresa tra i 20 e il 24 anni (800mila) e il 14% e' di nazionalita' straniera. Il 46% ha al piu' la licenza media, il 34% sono disoccupati e il 30% inattivi scoraggiati.
Famiglie sempre più povereNel 2010 in Italia le famiglie in condizione di poverta' relativa sono 2 milioni 734mila: l'11% delle famiglie residenti, corrispondenti a 8 milioni 272mila individui poveri, ovvero il 13,8% dell'intera popolazione. Il 10,2% delle persone vive in famiglie a bassa intensita' di lavoro, dove cioe' meno del 20% del tempo teoricamente disponibile e' impiegato in attivita' lavorative. Questo dato si spiega anche con la prolungata convivenza con i genitori dei giovani 18-34enni in cerca di occupazione. Nel corso degli anni, la condizione di poverta' e' peggiorata per le famiglie numerose, soprattutto per quelle con figli minori e residenti nel Mezzogiorno, per le famiglie dove convivono piu' generazioni e per quelle con un solo genitore. Nel 2010, l'incidenza della poverta' relativa raggiunge il 28% tra i minorenni se questi vivono con i genitori e almeno due fratelli (e' al 10,7% se si fa riferimento alla poverta' assoluta), mentre supera il 33% (11,8% nel caso della poverta' assoluta) se vivono in famiglie con membri aggregati. Secondo il dosssier, la poverta' relativa mostra i piu' evidenti segnali di miglioramento tra gli anziani. Tuttavia, una vulnerabilita' in termini economici permane soprattutto nel Mezzogiorno, dove l'incidenza non scende al di sotto del 26% (7% per la poverta' assoluta).
Welfare, la disparità nei Comuni italianiNel 2008 i Comuni italiani, in forma singola o associata, hanno destinato agli interventi e ai servizi sociali 6 miliardi e 662 milioni di euro, un valore pari allo 0,42% del Pil nazionale. La spesa media pro capite e' pari a 111 euro, ma le differenze territoriali sono significative: si va da un minimo di 30 euro in Calabria a un massimo di 280 nella provincia autonoma di Trento. Al di sopra della media nazionale si collocano tutte le regioni del Centro-Nord e la Sardegna, mentre il Sud (escluse le Isole) presenta i livelli piu' bassi di spesa media pro capite (52 euro), circa tre volte inferiore a quella del Nord-est (155 euro). Famiglia e minori, anziani e persone con disabilita' sono i principali destinatari delle prestazioni di welfare locale, su queste tre aree di utenza si concentra l'82,6% delle risorse impiegate. Le politiche di contrasto alla poverta' e all'esclusione sociale incidono per il 7,7% della spesa sociale, mentre il 6,3% e' destinato ad attivita' generali o rivolte alla "multiutenza". Le quote residue riguardano le aree di utenza "immigrati e nomadi" (2,7%) e "dipendenze" (0,7%). Il 38,7% della spesa e' destinato a interventi e servizi, il 34,7% a sostegno di strutture, il rimanente 26,8% ai trasferimenti in denaro. Nelle regioni del Sud quote di spesa significative sono destinate alle politiche di contrasto alla poverta' e all'esclusione sociale: il 12,3% nel complesso dell'area, a fronte di una media nazionale del 7,7%, con un picco del 23,8% in Calabria.