equiDice il Premier che Equitalia deve diventare amica dei cittadini, che la burocrazia deve essere semplificata e semplificare la vita dei cittadini. E che pure la giustizia deve essere meno ingarbugliata. Ecco, quando si finisce nella morsa tra Equitalia e tribunali, capisci che tra queste condivisibilissime affermazioni e la realtà, c’è di mezzo un oceano. Il caso, stavolta è personale e per niente drammatico. L’ingiunzione di Equitalia nei miei confronti ammonta a 32,88 euro ed è per conto del Tribunale di Cremona. E’ dunque una questioncella, che però rappresenta un esempio di ciò che accade in questi casi. Soprattutto fa capire come il cittadino resti al buio mentre lo Stato si occupa di lui – di me, nel caso – e quanti apparati si siano messi in moto, nella più totale assenza di trasparenza e chiarezza, per recuperare 32,88 euro.

Si parte dal brivido: arriva l’avviso di notifica a ritirare presso un servizio postale privato di recapito, un atto di ingiunzione di Equitalia. E ti parte la bambola: cerchi subito di capire in cosa sei inadempiente. Navighi nella tua mente in cerca delle evasioni eventuali, magari dovute a dimenticanze. Insomma, ti senti subito in colpa, in balìa di Equitalia. Il servizio postale privato è in viale Europa, semi-nascosto in quell’ammasso di casermoni e casermotti, che non riesce ad avere una sua logica. Non sembra Siena, sembra Capalle (zona industriale al confine tra Firenze e Prato). Attraversato indenne il deserto dei tartari di viale Europa, al servizio postale, mentre cercano il mio plico, noto che ci sono decine e decine di buste targate Equitalia: non sono solo nel mirino, e la circostanza mi sembra consolatoria.

Finalmente ho la busta in mano con la dicitura Equitalia Centro. Apro. Ci sono sei fogli di carta sei, scritti sul davanti e sul retro, accompagnati dal bollettino postale di 32,88 euro. Nei sei fogli, Equitalia non dice nulla sulla natura del debito che devo pagare. C’è solo scritto che agisce «in nome e per conto del Ministero della Giustizia – Tribunale di Cremona». Si fa anche riferimento ad una sentenza emessa da detto Tribunale nei miei confronti nel 2010. Neppure al telefono, quando cerco di approfondire, Equitalia dice di più: «Per rispetto della sua privacy – mi dicono – noi non dobbiamo sapere perchè lei deve pagare dei soldi. Si rivolga al Tribunale di Cremona». Lo faccio. E in questa storia c’è la prima traccia “renziana”, in positivo, della vicenda. Il sito del Tribunale di Cremona è chiaro e trasparente e soprattutto reca nome, cognome e numero telefonico diretto degli addetti agli uffici. Compreso l’Ufficio Recupero Crediti, che in dieci minuti mi svela l’arcano: il 19 ottobre 2010 il Tribunale di Cremona ha preso atto di una remissione di querela in una causa per diffamazione che era stata intentata contro di me. Insomma, durante la mia attività giornalistica, una signora si era sentita diffamata e mi aveva denunciato. Poi, vedendo che non c’era trippa per gatti e che avrebbe perso alla grande, ha rimesso la querela. Però io devo pagare le spese processuali. E in più, l’avvocato del mio giornale di allora, nè io, abbiamo mai ricevuto l’avviso di pagamento di quelle spese processuali. Altrimenti avrei provveduto subito.

E invece a quattro anni dalla sentenza – i tempi della giustizia… – il Tribunale ha attivato Equitalia, che si è messa in moto, implacabile. E ce l’ha fatta: recupererà il credito che lo Stato vanta verso di me e di cui non ero a conoscenza; che si riferisce ad una causa finita positivamente per me; che ha messo in moto un servizio postale privato di recapito, e uffici di Equitalia, cancellerie di un Tribunale. Si sono sprecati sei fogli di carta davanti e dietro senza un minimo di trasparenza su ciò di cui ero debitore. Ho perso una mattinata ad andare nel deserto dei Tartari di viale Europa, e poi a rimbalzare al telefono tra Equitalia e il Tribunale di Cremona. Però alla fine sono felice. Rispetto alla paura che mi ero preso solo vedendo l’avviso di notifica dell’atto di Equitalia, chi se ne frega della burocrazia matrigna. Con 32 euro me la cavo. Anche se la causa l’avevo vinta io.