Ci voleva uno storico dell’arte napoletano, Michele Loffredo, per studiare e catalogare le opere di musei e collezioni pubbliche d’arte contemporanea del territorio aretino. Il risultato è un volume corposo, “Intra Tevere et Arno” (ed. Nerbini 2014), quanto mai utile prima che necessario. Nella terra di Piero e di Vasari, e ancor prima degli Etruschi e di alcuni dei più importanti maestri del Medioevo, esiste e ha una vitalità propria che le ha permesso di strutturarsi appunto in raccolte, una meno nota ma non per questo poco significativa attività artistica novecentesca e contemporanea. La sua componente più nota è rappresentata dalla Collezione Gino Severini conservata al Maec di Cortona, la più grande in Italia dedicata al maestro, che conta una quarantina tra dipinti, disegni, litografie ma anche fotografie e altri documenti. La collezione ha un taglio “familiare” anche per questo, ma soprattutto per la presenza – di grande attrattiva – di un’opera iconica e sommamente poetica, la Maternità del 1916, che ritrae Jeanne Fort Severini che allatta lo sfortunato secondogenito Antonio (sarebbe morto a pochi mesi di vita).
Nel cuore dell’arte aretina Ma le collezioni e i musei aretini dedicati all’arte contemporanea sono diciassette in tutto e Michele Loffredo ce li presenta tutti, descrivendone sinteticamente ed efficacemente l’origine, il ruolo e la storia. Prendono forma così gli elenchi delle opere destinate alla Galleria comunale d’arte contemporanea di Arezzo, una collezione iniziata da oltre mezzo secolo e che ha vissuto momenti di autentica vitalità, tanto che ammonta a circa quattrocento opere e che ha sede ma non ancora stabile esposizione. E comunque è bello sapere che essa contiene svariati lavori e qualche capolavoro dei maestri storici del primo Novecento, da Carlo Levi a Quinto Martini, da Mino Maccari a Francesco Menzio e Guido Peyron, fino a Corrado Cagli, Sergio Vacchi, Renzo Vespignanai, Ugo Attardi, Salvatore Fiume, oltre agli emergenti dell’ultimo ventennio.
Memoria artistica Ma tutti i luoghi dell’arte e dell’anima contemporanea sparsi sul territorio aretino hanno una validità artistica oltre che storica e sociale: l’autore li presenta con accuratezza, spaziando dagli straordinari Museo e Casa di Venturino Venturi di Loro Ciuffenna alla Galleria comunale di Civitella in Val di Chiana, dalla Fondazione Ghelli di Poppi a quella dei Sedili in pietra di Castel San Niccolò e a quella del Ferro battuto di Stia, dal Cassero per la scultura italiana dell’Ottocento e del Novecento di Montevarchi alla Galleria comunale di San Giovanni Valdarno. Senza disdegnare, anzi esaltando, quell’arte particolare che è di Arezzo e basta, che vede i suoi orafi realizzare i disegni ora immaginifici ora severi dei grandi del Novecento: i progetti di Giò Pomodoro, Piero Dorazio, Ettore Sottsass, Mario Ceroli, diventano pezzi d’arte arricchiti dal cuore e dalla manualità abilissima degli orafi aretini e sono destinati a girare il mondo ogni volta che c’è bisogno di far conoscere la storia millenaria dell’oro di Arezzo: la Collezione Orodautore è già stata a Tokyo, Las Vegas, Buenos Aires, New York, Atene, Berlino, arricchendosi nel tempo di nuove tappe e nuove opere. E facendo compagnia ad un altro Museo dell’oro che ha fatto anche la storia industriale di Arezzo, quello aziendale della Unoaerre.
Il libro Il volume si fa svogliare volentieri e risulta essere di veloce consultazione. Ha un altro grande merito, quello di far venire voglia di andare finalmente a (ri)vederli questi luoghi del contemporaneo, con la speranza che da enclave diventino quanto prima parte integrante della storia e del gusto dei territori aretini. Infine, essendo l’autore Michele Loffredo uno dei punti forti della Soprintendenza di Arezzo e attualmente anche direttore di Casa Vasari, immaginiamo che il lavoro sia anche propedeutico e preliminare ad una auspicabile “rete” tesa ad incentivare l’accessibilità e il godimento di tante opere d’arte.