Poi dicono che la letteratura di viaggio è finita, tanto tutto è stato già visto e raccontato. Meno male che si sbagliano e si sbaglieranno fino a quando ci sarà qualcuno che si mette in gioco con se stesso e sa usare non solo le gambe, ma anche una certa dose di immaginazione, la capacità di interrogare i posti, la buona compagnia di libri e di ombre del passato.
“In cammino con Stevenson” di Tino Franza (Exòrma edizioni) è un libro che tutti questi ingredienti li possiede in abbondanza.
Non ci consegna un altro continente eppure ci porta molto lontano, in una Francia che non è la Francia delle consuete rotte turistiche, Normandia o Costa Azzurra per non dire di Parigi, ma la Francia rurale, montanara, selvaggia delle Cévennes, che sarebbe come dire a un francese di lasciar perdere Roma e Venezia e concentrarsi piuttosto sul nostro Aspromonte.
Ci porta lontano anche nel tempo, perché al viaggio di oggi intreccia il viaggio che il grandissimo Robert Louis Stevenson qui fece più o meno un secolo e mezzo fa, giovane che ancora doveva scrivere i suoi capolavori e decidere davvero cosa fare della sua vita.
E inseguendo l’ombra di Stevenson – lungo il sentiero che oggi furbescamente si chiama Le chemin di Stevenson – sono molte altre le ombre che spuntano fuori. Briganti e ribelli, carbonai e contadini, osti e bestie feroci. Perché è questo – più volte l’ho sperimentato anch’io – che viene dato in dono ai camminatori: di spremere l’invisibile dalla terra che attraversano. Spesso si tratta proprie delle vite di chi ci ha preceduto.
Se qualcosa manca al viaggio di Franza mi sembra che sia solo un asino. Anzi, un’asina come quella Modestine che accompagnò Stevenson nei suoi giorni a piedi e dalla quale alla fine si separò a fatica. Problema dell’autore non del lettore, che per l’appunto sa confortarsi con l’ombra di Modestine, sempre presente in queste pagine.