Il Papa, sì, che ha dato insegnamento di discontinuità. «Lascio per il bene della Chiesa», ha detto in latino questa mattina. Otto anni fa (aprile 2005) aveva annunciato che avrebbe coltivato la Chiesa da «umile operaio la vigna del Signore». Adesso, in piena libertà, ha deciso di lasciare; forse il peso del ruolo, forse la tragica situazione in cui versa la Chiesa. Senz’altro la chiara consapevolezza di non riuscire a svolgere appieno l’incarico affidato «ingravescente aetate».

La notizia, che ha fatto il giro del mondo, ha finito per coprire ogni altro avvenimento, compresa la brutta campagna elettorale in corso, compresa la bruttissima vicenda che a Siena da settimane amareggia senesi e non.

Certo, un insegnamento per essere veramente efficace avrebbe bisogno che altri lo seguissero, altri ne facessero tesoro nella loro vita quotidiana. E non lo celebrassero a parole sterilizzandolo nella sua potente efficacia. Solo così sarà vera testimonianza. E allora cosa sperare dopo questo gesto che mai a memoria d’uomo era accaduto, se non nelle letture dantesche del “gran rifiuto” di Celestino V?
 
È auspicabile che – ingravescente aetate – altri seguano il suo esempio anche in contesti ben più laici e meno pesanti di chi è occupato nel «munus Petrinum». Di gente in là con l’età e che occupa posti rilevanti nell’economia, nella finanza, nela politica, nell'insegnamento ai giovani ce n’è da riempire libri. Forse per loro è giunto il momento di farsi da parte. È finito il tempo della gerontocrazia di un Paese vecchio che ci costringe tutti ad invecchiare prima ancora del tempo.
 
Ogni Papa, si dice, interpreta il suo tempo. Allora è tempo che si cominci a fare spazio ad una società più giovane, dinamica, moderna, capace di interpretare meglio il presente e affrontare con maggiore fiducia il futuro. L’insegnamento di Benedetto XVI deve arrivare al cuore di tutti. Da domani sono gradite dimissioni e uscite di scena clamorose. Il vuoto lasciato altri sapranno riempire.

Ah, s'io fosse fuoco