Si chiama Barbablù. Ha avuto il singolare privilegio di far designare col suo nome un complesso che, in psicologia, tratta di cattiveria, odio e frustrazioni: il complesso di Barbablù, appunto. Gli è stato dato, pertanto, l’onore del minchione, di un potente impotente, di un personaggio che, rosicato il proprio cervello, si fa predatore di psiche altrui. Sta recluso dentro una fiaba, che è, poi, quella che racconta ogni giorno a se stesso. Sogna di abitare in un castello (il suo immenso ego), di “amare” una donna non per ciò che essa è, ma per come la desidera lui, di “proteggerla” fino a diventare per lei insostituibile. Se, però, la sciocchina non si rende conto della fortuna che le è capitata nel trovare un uomo così forte e generoso, allora sono guai. Diventa nervoso, molto nervoso. Perché, di fatto, Barbablù è un debole, un incapace che vuole confinare la donna entro i propri limiti. Essendo egli de-ficiente di qualcosa, depriva l’altra, le sottrae il necessario che a lui serve per diventare qualcuno. In tal modo prova a sovvertire l’asimmetria che lo vede inferiore. Oggi Barbablù è prevalentemente un nobile decaduto. Non abita manieri (a parte il fortilizio fantasioso e perverso dell’egocentrismo); al massimo può permettersi la villetta, più spesso vive in case di condominio. Ma il problema, come sappiamo, non è legato allo status sociale, quanto psicologico. Il fiabesco ammazzafemmine è un tipo trasversale. Sa – talvolta con la buona fede dell’egoista inconsapevole – non farsi riconoscere. Agli occhi di una donna quella barba d’indaco scuro-scuro ha un indiscutibile fascino. Pure gli sbalzi di umore, certi sguardi sfuggenti, le smancerie che si alternano a manifesto disprezzo invogliano lei a conquistarselo. Se necessario a redimerlo. All’inizio pare persino una storia romantica, d’amore bello e impossibile. Finché le vicende vanno a scorticare corpo e anima. In letteratura c’è, a questo proposito, un esemplare romanzo di Henry James, “Ritratto di signora”, scritto oltre un secolo fa, ma incredibilmente attuale. La protagonista Isabel, da persona libera e anticonvenzionale, cade proprio nella rete da cui aveva voluto sempre sfuggire. Diviene preda docile dell’inganno. Sposa un uomo egocentrico, opportunista, senza scrupoli, che le rovinerà la vita. Quando Isabel appare, “alta e splendida”, vestita di velluto nero, incorniciata dal vano della porta, produce in chi la vede l’effetto di un “magnifico ritratto di signora”. Nessuno conosce quali sofferenze e solitudine nasconda il quadro tanto perfetto. E’ una storia di non-amore che ancora oggi trova replica negli inverni di molte esistenze.