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Vittorio Mazzoni della Stella

«Se una manina fatata non avesse consegnato a Il Fatto Quotidiano il dossier “Alexandria” oggi non ci sarebbe alcuna indagine della Magistratura su Mps. Anche se quella vicenda mi ricorda la storiella che si racconta a Siena di quando in piazza del Mercato una volta si fece a gara a chi mangiava le cose più schifose e uno, dopo avere quasi ingoiato un intero piatto di feci, vomitò perché nel cucchiaio aveva trovato un capello. Ecco, il derivato “Alexandria” in questa storia è il capello».

Inizia con una battuta fulminante l’audizione in commissione regionale di Vittorio Mazzoni della Stella, sindaco di Siena dal 1983 al 1990 e vicepresidente di banca Monte dei Paschi fino al 1996. Poi l’incontro si fa serio e traccia scenari sul presente dell’economia regionale ma anche sul recente passato che possono contribuire a far comprendere meglio gli ultimi 15 anni di storia politica e della banca più antica del mondo.

Monte, alleato naturale delle imprese «La vicenda Mps, sul piano del credito erogato, ha assestato un colpo durissimo alla Toscana ancor più che a Siena che, anzi, di fronte alla crisi ha tenuto meglio in quanto non dotata di un sistema industriale consistente – ha detto -. La nostra regione ha un bisogno disperato di credito industriale e il Monte era l’alleato naturale e ideale per accompagnare politiche di crescita e innovazione. Alla fine degli anni ’90, quando ero ancora amministratore di Mediocredito Toscano (Istituto del gruppo Mps che si rivolgeva all’industria e all’artigianato, mentre Banca Verde erogava il credito al mondo agricolo, NDA) venivano erogati 6.000 miliardi di lire alle imprese, l’80% di questi in Toscana. Chi usufruiva, ad esempio dei benefici della legge Sabatini poteva accedere al credito per l’acquisto di macchinari funzionali alla produzione. Una forma di sostegno all’innovazione tecnologica sostenuto dal gruppo Mps e che, oggi, senz’altro Fidi Toscana non è in grado di sostenere».

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L’ex presidente di banca Mps Giuseppe Mussari in tribunale

Inchiesta Salerno, squarcio di luce «Il problema reale per Mps non è stato il credito dato alle imprese e agli imprenditori desiderosi di fare innovazione per competere di fronte alle nuove sfide della globalizzazione, ma il credito che da un certo punto della storia è stato concesso per ragioni diverse. Fino ad arrivare ad avere in pancia 50 miliardi di euro di crediti deteriorati, più del doppio di quello che troviamo in banche di queste dimensioni. A chi sono stati dati? Per quali ragioni? Chi decideva? Possibile che si indaghi solo su Banca Etruria perché c’è il babbo della Boschi e non anche su Mps? Si coglie qualche barlume di luce quando la procura di Salerno comincia ad indagare sul pastificio Amato. Da quel coté di relazioni, interessi, amicizie, rapporti politici si riesce forse a capire a chi e come venivano dati i soldi e per farne quale uso».

Elenco del contenzioso per fare chiarezza «Sono convinto che molte delle cose che accadono a Siena, oggi, sarebbero più chiare a tutti se potessimo avere accesso all’elenco del contezioso Mps. La lista cioè di quelli che hanno avuto i quattrini ma non li hanno mai restituiti e che hanno tutto l’interesse a che non si vada in fondo alla verità e annacquano tutto. Ancora oggi». Versione aggiornata e corretta della celebre tecnica investigativa di Giovanni Falcone secondo il quale per trovare la mafia occorreva «seguire i soldi».

Mps e la politica Rispondendo, poi, alle domande del presidente Giacomo Giannarelli (M5S), Mazzoni della Stella ha spiegato che «l’influenza della politica su Mps è stata totale, da sempre, fino all’indicazione del sindaco revisore nella più piccola delle controllate. Ma mentre nella Prima Repubblica – ha detto – le decisioni venivano assunte dagli organi direttivi dei partiti (di maggioranza e di opposizione, NDA), dopo un accordo generale sulle nomine, in seguito, la prassi è continuata con un centro decisionale composto da due o tre persone al massimo». Da quel momento, dalla Seconda Repubblica, inizia la crisi del Monte, trattato come un bancomat da cui prelevare soldi per ogni buona occasione

Il «bancomat» della Seconda Republica «Fino a che dal 2007 fino al 2011 Mps non ha finito per distribuire patrimonio. Un esempio stupefacente lo si trova nel bilancio 2009 quando, per realizzare un utile inesistente basato su componenti straordinarie del bilancio, in piena crisi dei subprime e con un’impennata del contenzioso, si abbatte il fondo generico sul credito di 350 milioni».

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Bruno Valentini

La Salento e i manifesti ai muri Ma la banca era diventata, per Mazzoni della Stella, uno sportello per prelevare e distribuire denaro già da tempo, addirittura prima della vicenda Antonveneta (2006) e della banca del Salento (1999) su cui a lungo si era intrattenuto in Commissione il sindaco di Siena, Bruno Valentini, che aveva parlato di «mutazione genetica» dopo l’acquisto. Su quell’episodio Mazzoni si è semmai limitato a ricordare come «dopo l’acquisto furono affissi sulle mura della città manifesti che parlavano espressamente di tangenti, senza che questo abbia determinato né l’apertura di indagini da parte della Magistratura, di Bankitalia o della Consob né querele per diffamazione».

L’acquisto di Bam e i cavalieri del Nord est «Nessuno parla più – ha detto – della onerosissima acquisizione di Banca Agricola Mantovana, nel 1998. All’epoca dell’offerta pubblica d’acquisto di Mps le azioni di quell’istituto popolare erano congelate a circa 1.000 lire. Ma furono in breve rastrellate sul mercato dai famosi “cavalieri del nord est” e comprate da Rocca Salimbeni a 24.000 lire, determinando così enormi guadagni nelle tasche di pochi fortunati. Questo per confermare che Mps era considerata un bancomat già prima di Antonveneta. Ricordo che un settimanale locale a proposito di un influente uomo politico dell’epoca parlò di “Pasco I bancomat”».

Gabriello Mancini
Gabriello Mancini

Bancomat fuori servizio E sempre con riferimento al bancomat, passerà alla storia, anni dopo, il presidente della Fondazione Mps, Gabriello Mancini, quando in uno dei rari interventi polemici esclamò di non considerare più la «Fondazione come un bancomat per la politica». Battuta tanto infelice quanto autentica nel descrivere l’uso disinvolto che negli anni della Seconda Repubblica venne fatto della enorme disponibilità finanziaria di banca e fondazione. Oggi, quel bancomat è fuori servizio. Forse per sempre.