«L’acquisto di Banca 121 fu la prima operazione che portò Mps a cambiare pelle. Se fino ad allora era il cliente al primo posto dei pensieri della banca dopo si insediò una mutazione genetica nella quale prevalse la finanza». Così Bruno Valentini, sindaco di Siena durante l’audizione alla commissione consiliare in Regione Toscana sul caso Mps di cui abbiamo già dato conto in un altro servizio (leggi).
L’arrivo dei salentini in Rocca Salimbeni Era la fine del Novecento e a Siena arrivavano nei posti chiave gli uomini della ex banca del Salento, capeggiati da Vincenzo De Bustis che da direttore dell’istituto di credito a proprietà prevalente privata andò a guidare Rocca Salimbeni, banca con una forte storia pubblica alle spalle. L’acquisto (strappato al San Paolo di Torino per 2.500 miliardi di lire) e la direzione generale affidata a De Bustis, si disse all’epoca, furono fortemente volute da Massimo D’Alema, Luigi Berlinguer e sempre difese dall’allora sindaco di Siena Pierluigi Piccini. A significare che una parte politica da allora cominciò a determinare con forza le scelte strategiche di Siena.
«A Roma non piaceva il controllo locale» Ma l’acquisto di banca 121 fu non conveniente – avrebbe dichiarato Valentini – sebbene Mps riuscì a sostenerla sul piano finanziario. A distanza di 16 anni, dunque, Valentini indica quella vicenda come la curva nella storia secolare montepaschina che ne ha segnato la disfatta che di lì a poco sarebbe seguita. Tra mutazione nei prodotti, (chi ricorda i prodotti finanziari “My Way” e “For You”?), nella cultura (prima la finanza e poi il cliente) e, sebbene non lo dica apertamente, nelle invasioni di campo della politica nazionale che ne determinò le scelte strategiche e gli uomini. «A Roma avevano sempre auspicato che Mps non fosse controllata solo dai vertici locali», avrebbe detto Valentini, facendo riferimento in primo luogo al suo partito, l’allora Pds, poi Ds.
«Incarichi e soldi che tappavano bocca e occhi» Poi il primo cittadino avrebbe ricostruito la storia degli ultimi anni a Siena, in particolare del clima politico che avvolgeva Mps e della volontà romana alla integrazione con altre banche. Per ben due volte, negli anni 2000, saltò ad esempio un matrimonio dato per fatto con Bnl. E solo con l’operazione Antonveneta fu trovato il consenso di tutti. Ricorda Valentini che all’annuncio dell’operazione «vi furono applausi bipartisan», anche da parte dei sindacati interni. Da allora (2008) banca e fondazione Mps non ebbero più opposizione né a destra né a sinistra, né a livello locale né tantomeno nazionale, anche perché i vertici erano bravi ad accontentare tutti, con le erogazioni e con incarichi e poltrone, oltre 200 nell’ampia galassia Mps, che, ha ricordato Valentini, «tappavano la bocca e gli occhi di tanti».
Debito al Comune di Siena Nel corso della audizione poi Valentini avrebbe anche ricordato come sarebbero state spese le risorse della Fondazione dal Comune di Siena e come risalga alla fine degli anni ’90, sindaco Piccini, lo scoppio del debito nel bilancio del Comune di Siena, poi raddoppiato negli anni successivi. «Segno che venivano spese non solo le risorse extra derivanti dagli utili della Fondazione ma anche quelle che finivano per determinare il debito del Comune». E che ad oggi ammonterebbe a circa 70 milioni di euro ma negli anni era arrivato alla cifra record di 136 milioni, uno dei più alti tra i comuni capoluogo.