Metti che un giorno un ipotetico Sindaco ed un altrettanto ipotetico Consiglio Comunale decidano che il proprio Comune (chiamiamolo per comodità Abetone) debba chiudere i battenti, fondendosi con uno più grande (con un nome tipo Cutigliano).
Metti poi che la Regione Toscana, che da un po’ di tempo a questa parte va in brodo di giuggiole ogni volta che annusa l’occasione di chiudere un Comune, raccolga golosa la richiesta ed indica il referendum.
Considera poi il caso che i cittadini di quel Comune si pronuncino invece in maggioranza per il “no”, affermando la volontà che il proprio Comune continui a vivere, e smentendo così Sindaco e Consiglio Comunale.
A questo punto ti aspetti che la faccenda si chiuda lì, come si è chiusa in passato in occasioni analoghe, e come d’altronde è naturale che sia. Al massimo potresti prevedere qualche guaio politico per un’Amministrazione smentita dai propri cittadini su un tema dall’enorme portata come l’esistenza stessa del Comune.
Ed invece no, non è detto, perché se ci aggiungi l’ipotesi di trovarti nella Toscana de “la fusione fa la forza”, nella Toscana che storpia non solo i proverbi ma ogni tanto anche la democrazia, chiamandola magari la “democrazia che decide”, ovvero una roba da uomini duri mica da quaquaraquà, la questione potrebbe prendere una piega diversa.
Nella Costituzione c’è scritto che la Regione può modificare le circoscrizioni dei comuni “sentite le popolazioni interessate”? Bene, potrebbe accadere che la Regione le popolazioni le senta, ma poi siccome in Toscana siamo anche ottimi mercanti, e alla bisogna sappiamo fare l’orecchio relativo al mestiere suddetto, ciò che sente potrebbe benissimo farlo entrare da una parte e, come un fastidioso rumore di sottofondo, uscire dall’altra.
Così a Firenze potrebbero cominciare a disquisire sul fatto che «è vero, in un Comune hanno vinto i ‘no’, però… di poco».
Ora già sarebbe abbastanza complicato stabilire dove finisca il “poco” e cominci il “giusto”. Ma soprattutto dalle mie parti si ama ricordare di quel giocatore di briscola che, sconfitto, apostrofò gli avversari con un «o pallini cosa pensate di aver fatto, avete fatto sessantuno!»
Visto dunque che la teoria del “poco” non reggerebbe alla prova del ridicolo, il Consiglio Regionale magari ne potrebbe escogitare una migliore, per esempio stabilendo che i voti non si contino comune per comune, ma si mettano tutti insieme e si verifichi se i “sì” complessivi raggiungono o meno i due terzi del totale.
Eh beh però anche questa sarebbe una singolare teoria! Significherebbe che i cittadini di un comune che volessero negare il proprio consenso ad una fusione, nel caso in cui l’altro comune fosse grande almeno il doppio non potrebbero sentirsi matematicamente al sicuro nemmeno se il “no” facesse il 100%. Punteggio pieno, ma perdi lo stesso. Chissà, dovrebbero sperare nella clemenza delle forze occupanti o, come il Papa dopo la breccia di Porta Pia, di mantenere qualche presidio territoriale in comune straniero.
Insomma più che fusioni sarebbero annessioni.
Proviamo ancora: i consiglieri regionali potrebbero appellarsi alle volontà favorevoli alla fusione deliberate del Sindaco e del Consiglio Comunale. E qui però davvero il principio democratico finirebbe a testa in giù: tra il giudizio espresso da rappresentanti eletti dai cittadini e quello manifestato, in senso contrario, direttamente dai cittadini stessi, matita e scheda alla mano e tanto di croce sul “no”, si farebbe prevalere il primo. Il sondaggio che vince sul censimento, le proiezioni sullo scrutinio finale.
No dai, anche questa non ci sta proprio.
Ultimo tentativo, di quelli estremi! I consiglieri regionali, in versione “Dottor Stranamore”, potrebbero usare l’ordigno “fine di mondo”, anzi “fine di Comune”, cioè pronunciare con voce stentorea la frase: anche in Emilia-Romagna fanno così!
Insomma potrebbero giocarsi la carta della contaminazione interregionale, la bomba “piadina col lampredotto”. Ma anche senza il bisogno di verificare la notizia (e di assaggiare l’anomala pietanza di cui sopra), il primo che passasse distrattamente di lì smonterebbe la teoria in quattro balletti, osservando che, eventualmente, sommare due risposte sbagliate non significa ottenerne una giusta.
Insomma dai, arrendiamoci: è dimostrato, al di là di ogni ragionevole dubbio, che una vicenda così non potrebbe mai capitare, non ce ne sono i presupposti logici. Roba del genere confliggerebbe con le leggi della fisica politica.
Solo in un mondo di fantasia il “no” popolare in un referendum sulla fusione di un comune potrebbe cambiare verso tramutandosi nel pulsante “on” che accende la luce della fusione.
In un mondo di fantasia, o magari nel magico mondo dell’appennino pistoiese.