PISA – In Italia le persone a rischio di povertà alimentare o insicurezza alimentare sono il 22,3% della popolazione, tasso che varia a livello regionale dal 14,6% dell’Umbria, al 29,6% dell’Abruzzo, al 18,7 % della Toscana, con elevati livelli di disuguaglianze soprattutto per quanto riguarda ortaggi, carne e pesce.
I dati emergono da uno studio pubblicato sulla rivista Social Indicators Research da Stefano Marchetti dell’Università di Pisa e Luca Secondi dell’Università della Tuscia e che parte dall’Indagine Istat sulla Spesa delle Famiglie italiane del 2017.
“L’indagine – sottolinea Stefano Marchetti, professore di statistica del Dipartimento di Economia e Management – non riguarda la povertà assoluta, cioè l’impossibilità di comprare un dato paniere di beni alimentari, ma la povertà relativa, ovvero coloro che hanno una capacità di spesa per alimenti al di sotto di una certa soglia media che in Italia si attesta intorno ai 162 euro pro-capite, cifra che varia da regione a regione e da ricalibrare nel caso di famiglie numerose”.
Accanto a questo indice i ricercatori hanno inoltre fatto una stima dell’insicurezza alimentare degli italiani, condizione che si ha quando la quota della spesa per il cibo supera il 40% della spesa totale. Dall’analisi emerge che in Italia questa condizione riguarda il 3,6% della popolazione, circa 2 milioni di persone, con un massimo in Calabria (9,7%) e un minimo in Veneto (0,9%), Friuli (1,2%) e Toscana (1,5%). “Destinare una quota elevata della propria spesa al solo cibo – commenta Marchetti – denuncia una difficoltà a sostenere le spese per la casa, la salute e i servizi di base necessari, mettendo le persone a rischio di esclusione sociale, questo naturalmente richiede interventi e politiche economiche volti a consentire condizioni di vita più eque e sostenibili per l’intera popolazione, specie se consideriamo che la ricerca traccia un quadro pre-pandemia e che il Covid potrebbe aver incrementato le disuguaglianze a livello nazionale”.