Un’appendice alle riflessioni che la scorsa settimana qui furono abbozzate in tema di educazione al bello mi è stata suggerita dal rivedere/ascoltare alcuni Dvd delle sinfonie beethoveniane dirette da Claudio Abbado. La regia-video talvolta indugia sugli spartiti dove sono annotate le architetture perfette di Ludwig, e viene da pensare che per quanto un musicista già possa ricavare piacere dalla muta lettura di quelle pagine, ben altra cosa accade quando la musica, dai propri segni, prende corpo sugli strumenti. Perché allora diviene comunicazione, condivisione. Lo sapeva benissimo Claudio Abbado, convinto assertore che “la musica contenga in sé una forza in grado di travalicare i suoi stessi confini” e di come in essa non ci sia soltanto un valore estetico, poiché “dalla sua bellezza intrinseca, in grado di comunicare universalmente, scaturisce un intenso valore etico”. Tale era il convincimento del Maestro da riflettersi anche nel suo modo di essere direttore d’orchestra, con quel gesto rattenuto, più intimo che esteriore, con interpretazioni sorvegliatissime a scanso di facili compiacimenti, con l’impegno del nitore che meglio svela la bellezza. Tutto ciò nella persuasione che il bello debba essere vissuto, trasmesso, rappresentato, e, non di meno, rispettato. Abbado riteneva che la musica fosse necessaria al vivere civile, in quanto basata sul valore imprescindibile dell’ascolto. “Dove c’è musica non può esserci nulla di cattivo”, diceva Cervantes nel Don Chisciotte. Tanto da far pensare al Maestro che la musica possa davvero cambiare la vita, migliorarla, addirittura salvarla. Come nel caso del “Sistema orchestrale giovanile e infantile” del suo amico Josè Antonio Abreu, che in Venezuela, nell’arco di 35 anni, ha coinvolto oltre 2 milioni di ragazzi sottraendoli a violenza e droga. C’è dunque nell’arte un’insita educazione alla ‘bontà’ che Platone aveva indicato lungo l’asse di tre idee: il Vero, il Bene, il Bello. Tema, questo, ripreso recentemente da François Cheng, studioso di origine cinese, membro dell’Accademia di Francia, considerato il più acuto pensatore e mediatore tra cultura orientale e europea. Cheng invita a riflettere sul fatto che la bellezza richiede un incontro fra i suoi elementi costitutivi. Una relazione che riguarda più il modo di essere che l’apparenza. Non è così nella nostra società – lamenta l’accademico di Francia – dove la bellezza viene degradata a merce di scambio. Le meraviglie, ridotte alla dimensione del possesso, dell’inganno, dell’adulazione smarriscono il loro splendore, si sottraggono al nostro mondo. Orribile mondo, a quel momento.

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